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Il ritorno di Majorana

Dopo 73 anni la Procura di Roma
riapre l’inchiesta sulla scomparsa del grande scienziato siciliano:
quale misterioso evento ha motivato le nuove indagini?
L’enigma dell’energia da positroni e gli interrogativi sul caso Pelizza

Nel “Dito di Dio”, un libro di prossima pubblicazione,
si legge che Majorana nel 1938 si sarebbe rifugiato
in un convento della Campania dove negli anni settanta
avrebbe progettato la macchina in grado di annichilire la materia,
senza provocare radiazioni

di Rino Di Stefano

(RinoDiStefano.com, Pubblicato Venerdì 17 Giugno 2011)

Ettore MajoranaChe cosa si nasconde dietro la riapertura delle indagini sulla scomparsa del fisico trentunenne Ettore Majorana, ordinario di Fisica teorica all’Università di Napoli, a 73 anni da quel fatidico giorno in cui lo scienziato fece perdere le sue tracce? A porsi questa domanda sono in tanti, anche perché non succede tutti i giorni che la Procura di Roma prenda una decisione di questo genere, senza spiegare quale nuovo avvenimento sia accaduto per giustificare un atto di questa portata. Non c’è dubbio che la misteriosa scomparsa di Majorana sia uno degli enigmi di maggiore interesse nel mondo scientifico mondiale. Decine di libri sono stati scritti sul fisico catanese, una delle menti più brillanti mai prodotte dall’umanità, che il 27 marzo 1938 decise di sparire per sempre non appena mise piede a terra nel porto di Napoli, scendendo dal traghetto Palermo-Napoli. Da quel momento di lui non si seppe più nulla. E il mistero resta insoluto fino ai giorni nostri.
Adesso, però, il procuratore aggiunto di Roma, Pierfilippo Laviani, ha deciso che è venuto il momento di saperne di più. E per far vedere che non sta scherzando, ha affidato al colonnello dei carabinieri Bruno Bellini, comandante del nucleo investigativo della capitale, l’arduo compito di ripercorrere la vita dello scienziato per arrivare a scrivere l’ultima pagina, quella ancora sconosciuta, della sua biografia.
Ma la squadra del colonnello Bellini non è una squadra qualunque. Si tratta, infatti, di un gruppo altamente specializzato di investigatori della sezione Omicidi. Gli stessi, per intenderci, che a vent’anni dai fatti hanno risolto brillantemente il giallo dell’assassinio della contessa Alberica Filo della Torre, attribuendone la morte all’ex domestico filippino Winston Manuel Reves. In particolare, di questo nucleo investigativo fanno parte sei marescialli, dai 30 ai 50 anni, considerati tra i migliori investigatori a livello nazionale. E saranno proprio loro a dover ricostruire tutto ciò che si nasconde dietro la scomparsa di Majorana, cercando una volta per tutte di risolvere l’intricatissima matassa. Va da se che, se ci dovessero riuscire, la squadra del colonnello Bellini diventerebbe famosa in tutto il mondo.

Una vita da scienziato

Ettore Majorana, al centro della foto, durante una gita in campagna negli anni trenta insieme ai suoi famigliariMa vediamo, in sintesi, chi era Ettore Majorana. Nato il 5 agosto 1906 a Catania, era quarto di cinque fratelli e apparteneva ad una famiglia facoltosa, ben nota per l’alto livello di intelligenza dei suoi membri. I suoi fratelli si affermarono tutti nella giurisprudenza, nell’ingegneria e nella musica. Il nonno Salvatore era stato ministro; il padre Fabio era un fisico; lo zio Giuseppe giurista, economista e deputato; lo zio Angelo uno statista; lo zio Quirino, il preferito di Ettore, era un noto scienziato nel campo della fisica sperimentale; lo zio Dante fu giurista e rettore dell’Università di Catania. Ettore, però, aveva il cervello migliore di tutti. Prima di tutto poteva essere definito, prendendo in prestito un termine dei giorni nostri, un “computer umano”. Era in grado di fare calcoli complicatissimi a mente, in pochi secondi. Famoso fu il suo primo incontro-scontro con Enrico Fermi, allora titolare della cattedra di Fisica teorica all’Università di Roma, dovuto ad un calcolo che Fermi fece alla lavagna, aiutandosi con un regolo, e Majorana a mente. In ogni modo, il giovane Majorana lasciò la facoltà di ingegneria, dove era iscritto, per passare a quella di Fisica, dove si laureò nel 1930. Già un anno dopo il nome di Majorana era noto in campo internazionale. L’ambasciata sovietica a Roma gli propone di trasferirsi a Mosca per dirigere l’Istituto Superiore di Fisica. E altri inviti gli vengono anche dalle università di Yale e di Cambridge, nonché dalla prestigiosa Carnegie Foundation.

I ragazzi di via Panisperna

Ma lui neanche risponde e resta a Roma, frequentando di tanto in tanto l’Istituto di Fisica di via Panisperna, dal quale usciranno i migliori scienziati dell’epoca, tutti suoi compagni di corso, quali Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Franco Rasetti, Oscar D’Agostino e Bruno Pontecorvo. Fermi, comprendendo l’altissimo valore di Majorana (lo paragonerà a Galileo e Newton), cercherà di convincerlo a partecipare al concorso per professore universitario di Fisica, ma l’altro non lo sta neppure a sentire. Per cui, alla fine, Fermi fece in modo che l'amico fosse nominato titolare della cattedra di Fisica all’Università di Napoli per “meriti eccezionali”.
Da notare, però, che dal 1932 al 1936 Majorana non aveva più frequentato l’Istituto di via Panisperna. Solo ed isolato, sempre immerso nei suoi pensieri, un giorno scrisse al fratello Luciano confidandogli: “All’Istituto nessuno capisce nulla. Le mie teorie le possono comprendere solo quattro persone: Bohr, Heisenberg, Dirac e Anderson…”.
Comunque, incomprensioni a parte, neanche l’insegnamento a Napoli sembrava soddisfarlo. Arriviamo così alla mattina del 28 marzo 1938 quando, sbarcando dal traghetto Palermo-Napoli, si avvia verso i vicoli della città vecchia scomparendo nel nulla. Inutili, tra l’altro, le indagini della polizia, autorizzate da Mussolini in persona.

Una sparizione misteriosa

Ma che cosa si potrebbe nascondere dietro la decisione di Majorana di sparire per sempre? Su questo enigma, sono state fatte numerose ipotesi. Secondo il professor Erasmo Recami, docente di Fisica e Struttura dellaMajorana, che in questa foto indossa un basco, ripreso nel corso di una vacanza che stava facendo insieme ai famigliari Materia presso l’Università Statale di Bergamo, biografo ufficiale di Majorana e autore del documentatissimo libro “Il caso Majorana”, le tracce dello scienziato scomparso portano a due diverse congetture: la pista argentina, cioè l’eventuale presenza di Majorana in Sud America per un certo periodo di tempo, e l’ingresso in un monastero del sud Italia, dove sarebbe vissuto fino alla fine dei suoi giorni. Recentemente la pista sudamericana è stata riproposta da "la Repubblica" e dal "Corriere della Sera", che l'hanno portata a giuustificazione dell'apertura dell'inchiesta da parte della Procura di Roma. Ma, nonostante gli accertamenti eseguiti su una foto in cui alcuni ritengono di riconoscere un Majorana in là negli anni, di sicuro non c'è assolutamente nulla. Di certo, invece, c’è che Majorana, pochi giorni prima della scomparsa, si era presentato al Convento di S. Pasquale di Portici per essere ammesso in quell’ordine religioso. Ma la sua richiesta non venne accolta. E’ quindi molto probabile che riprovò in altri conventi. Un dubbio viene, ad esempio, da quanto l’abate di un convento di clausura dichiarò alla madre di Majorana, che lo cercava in ogni dove: “Ma perché lo cerca, signora? – disse il religioso – L’importante è che suo figlio sia felice”.
Per inciso, la madre del fisico si rivolse anche a Papa Pio XII in persona per sapere se il figlio si era davvero nascosto in un convento, ma non ebbe mai risposta. Da quel giorno, però, la donna non portò più il lutto per il figlio scomparso.
Majorana, appoggiato alla parete di un battello, durante un'escursione a Porto S.Stefano nel 1936L’ipotesi del ritiro in convento è stata sposata anche da Leonardo Sciascia nel suo libro “La scomparsa di Majorana”, dove, però, non rivela il nome della struttura che avrebbe accolto lo scienziato. Più preciso è invece il giornalista Sharo Gambino che, nel suo volume “L’atomica e il chiostro”, afferma di aver saputo dal frate Francesco Misasi che nella Certosa di Serra San Bruno, in Calabria, “vi era un monaco capace di risolvere in un attimo i calcoli più complicati”. Persino Papa Wojtyla, durante una sua visita a Serra San Bruno nel 1984, ricordò che il monastero “aveva dato ospitalità al grande scienziato Ettore Majorana”. Quelle notizie disturbarono parecchio i frati della Certosa che nel libro “Serra San Bruno e la Certosa” di Ceravolo-Luciani-Pisani, bollarono come “falsità” questa teoria, smentendo persino il Papa.
Se, in effetti, Majorana avesse deciso di trascorrere il resto della sua esistenza tra le sicure mura di un convento, ci sarebbe da domandarsi che cosa lo avesse indotto a prendere una drastica decisione come quella. C’è chi dice che fosse arrivato prima di Fermi alla scoperta dell’energia nucleare e che, quindi, per non rivelare nulla, avesse deciso di nascondersi. Ma una simile spiegazione non sta in piedi, tanto più che la bomba nucleare venne comunque realizzata e poi drammaticamente utilizzata a Hiroshima e Nagasaki, con buona pace di Majorana. Allora, perché scomparire?

Il segreto della materia

Un’interessante ipotesi viene proposta dal fisico portoghese Joao Magueijo, docente di Teoria della relatività generaleIl professor Erasmo Recami, docente di Fisica e Struttura della Materia presso l'Università Statale di Bergamo, biografo di Ettore Majorana all’Imperial College di Londra, il quale nel suo libro “La particella mancante” avanza l’ipotesi che Majorana avesse scoperto il vero segreto della materia. E, per non rivelarlo, avesse deciso di sparire. Che cosa significa? L’unica traccia giunta fino a noi, è un quadernetto dove il fisico ha scritto la sua “Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone”. Quest’ultimo sarebbe un elettrone con carica positiva, per cui se un positrone si scontrasse con un elettrone, che ha carica negativa, avverrebbe l’annichilimento della materia in energia pura. In altre parole, banalizzando al massimo il concetto, se si riuscissero ad ottenere dei positroni, si potrebbe ottenere una reazione controllata che porterebbe alla realizzazione di energia pura, senza radiazioni di sorta. In un certo senso, una reazione “naturale”, senza sconvolgimenti atomici.
Si tratta, al momento, di fantascienza pura. In quanto la scienza è ben distante da una tecnologia di questo tipo. Anche se al Cern di Ginevra, con un’enorme dispendio di energia, sono già riusciti ad ottenere degli anti-atomi di idrogeno nell’ambito del progetto Athena.
La domanda, a questo punto, è: e se Majorana avesse davvero scoperto come produrre positroni? Non cui vuole molta immaginazione per intuire come potrebbe essere utilizzata un’invenzione del genere se finisse nelle mani sbagliate…

Il caso Pelizza

Eppure, da qualche tempo, c’è qualcuno che afferma di avere costruito, su progetto di Majorana, una macchina in grado di produrre positroni dal vuoto assoluto. E, quindi, di generare energia pulita praticamente a costo zero. E qui, torniamo alle indagini della Procura di Roma. Infatti, dovrebbe essere la magistratura ad accertare se queste dichiarazioni sono il frutto di farneticazioni, o se dietro ci sia qualcosa di vero. Ma vediamo di che cosa si tratta.
La copertina del libro "Il caso Majorana" del professor Erasmo RecamiL’autore di queste dichiarazioni si chiama Rolando Pelizza e la sua testimonianza è stata affidata ad un libro di prossima pubblicazione, “Il dito di Dio”, di cui è autore Alfredo Ravelli. Pelizza e Ravelli, entrambi del 1938, provengono da Chiari, in provincia di Brescia, e sono legati da un vincolo di parentela. Pelizza, che ha avuto una vita piuttosto movimentata e avventurosa, ha affidato le sue memorie a Ravelli, il quale ne ha fatto un libro piuttosto ben documentato. Il problema è che certe dichiarazioni di Pelizza sono alquanto eclatanti e, a questo riguardo, non ha fornito alcuna prova materiale che le avvalori.
Facciamo un esempio. Nel libro, Pelizza afferma che nel 1958, durante un suo soggiorno di lavoro nel Meridione, venne condotto per caso all’interno di un convento e qui conobbe un frate che tutti chiamavano “il professore”. Secondo il suo racconto, questo “professore” lo prese a ben volere e, poco per volta, gli avrebbe insegnato i criteri di una nuova fisica, fino ad oggi sconosciuta. Solo dopo un po’, il frate “professore” avrebbe confessato di essere Ettore Majorana. Non solo: al suo allievo, avrebbe anche insegnato come costruire una macchina che produrrebbe positroni dal vuoto assoluto. L’unica condizione che gli avrebbe imposto, sarebbe quella di utilizzare questa tecnologia solo a fini civili.
Dal racconto passiamo ai fatti concreti. Nel 1976 Pelizza, grazie all’intercessione di Massimo Pugliese, ex colonello del Sid, mise la sua macchina a disposizione del governo italiano, allora presieduto da Giulio Andreotti, per farne verificare l’efficacia. Nel dicembre del 1976 il professor Ezio Clementel, docente di Fisica presso l’Università di Bologna e presidente del CNEN, supervisionò un esperimento con quella macchina, affermando nella sua relazione finale che “in ogni caso, anche nell’ipotesi non ancora escludibile di fascio laser, le energie e soprattutto le potenze in gioco, si porrebbero al di là dei limiti dell’attuale tecnologia”. La relazione venne inviata all’On. Loris Fortuna, presidente della Commissione Industria della Camera dei Deputati, affinché la consegnasse al Presidente del Consiglio.
Questo accadeva nel 1976. Successivamente ci furono altri sviluppi che, di volta in volta, avrebbero coinvolto anche il governo belga, il governo USA e il Vaticano.
Ma quanto c’è di vero in questi rapporti internazionali? Quanto è fantasia e quanto è realtà documentata? L’enigma, a tutt’oggi, resta irrisolto. Anche se diversi indizi lasciano pensare che non lo sarà ancora per molto.

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(Foto: Copyright © E. Recami & M. Majorana - RIPRODUZIONE VIETATA)

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