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La controversa storia nel libro di Dario G. Martini
pubblicato dalla casa editrice Vallecchi
(Il Giornale, Pubblicato Giovedì 5 Gennaio 2006)
Cristoforo
Colombo non era un santo, da uomo del Medioevo considerava gli indiani del Nuovo
Mondo né più né meno che schiavi e aveva un solo chiodo
fisso nella mente: raggiungere il suo obiettivo di scopritore a qualunque costo,
a prescindere da eventuali e prevedibili difficoltà. Il quadro che traccia
un profilo senza dubbio più crudo ma comunque più reale del Grande
Navigatore, si evince dalla lettura del libro "Colombo" dello studioso
genovese Dario G. Martini, un volume assolutamente eccezionale che la Vallecchi
Editore ha voluto pubblicare in collaborazione con la Fondazione regionale Cristoforo
Colombo per celebrare i 500 anni dalla morte dello scopritore. Un libro di 272
pagine eccezionale sia per il grande formato (cm 33x45), sia per la realizzazione
con carta speciale delle Cartiere Milani di Fabriano, il cofanetto rigido, la
rilegatura artigianale in pelle con impressioni in oro e, soprattutto, la tiratura
limitata in 1999 esemplari. Insomma, un volume da collezione che ricorderà
negli anni le celebrazioni colombiane del 2006.
Martini, 82 anni portati con molta saggezza, è uno studioso di Colombo
di vecchia data. Giornalista, scrittore e drammaturgo conosciuto in Italia e
all'estero, non è uno di quegli autori che cerca a tutti i costi
di contrabbandare un'immagine fantastica del navigatore, magari a spese
della concretezza storica. Al contrario, seguace dell'indagine scientifica
che ha trovato in Paolo Emilio Taviani il più noto dei suoi sostenitori,
ha sempre cercato di mettere insieme tutte le informazioni di cui disponiamo
su Colombo per cercare di chiarire anche gli ultimi enigmi sulla sua avventurosa
vita. Non è vero, infatti, che su Colombo non esista alcuna documentazione
storica, come qualche scrittore improvvisato ha cercato di far passare. Soltanto
a Genova Taviani e altri studiosi accademici hanno portato alla luce circa 200
documenti inoppugnabili sull'origine di Cristoforo Colombo e sulla vita
della sua famiglia.
"Soltanto un documento – racconta Martini – suscitava ancora
qualche perplessità negli storici: la lettera del savonese Michele da
Cuneo. Nella missiva questo personaggio, che era un buon conoscente di Colombo
e che si era imbarcato con lui sulla Maria Galante, meglio conosciuta come Santa
Maria, racconta con termini molto crudi che l'ammiraglio gli aveva donato
un'indigena del posto (una camballa, cioè una donna cannibale)
e che egli l'aveva legata e violentata perché lei non voleva unirsi
a lui. Fin dall'inizio questa lettera aveva provocato opinioni discordi
negli studiosi in quanto proiettava un'ombra negativa sull'ammiraglio.
Qualcuno diceva che era falsa, ma alla fine un giovane laureando, con molta
bravura e una buona dose di fortuna, è riuscito a dimostrare che Michele
da Cuneo è esistito davvero e che la lettera era autentica".
Per comprendere di che cosa stiamo parlando, è meglio citare le stesse
parole di Michele da Cuneo. Siamo nel 14 novembre del 1493 e l'equipaggio
della Santa Maria è appena reduce da uno scontro con gli indigeni davanti
all'isola di Santa Cruz. Ed ecco quindi cosa scrive il marinaio savonese
ad un suo amico e conterraneo in Liguria.
"Presi una camballa bellissima, la quale il signor Almirante mi donò;
la quale avendo io nella mia camera, essendo nuda secondo loro costume, mi venne
voglia di solaciar cum lei. E volendo mettere ad execuzione la voglia mia, ella,
non volendo, me tractò talmente cum le ongie, che non voria alora aver
cominciato. Ma così visto, per dirvi la fine del tutto, presi una corda
e molto ben la stringai, per modo che faceva cridi inauditi, che mai non potresti
credere. Ultimate, fussimo, de acordio in tal modo, che vi so dire che nel facto
parea amaestrata a la scola de bagasse".
Uno stupro in piena regola, quindi. E apparentemente con il beneplacido dello
stesso ammiraglio.
"Questo documento era oggetto di dubbi e contestazioni – racconta
Martini – fino a quando un giovane studioso savonese, Giuseppe Milazzo,
costruendo la sua tesi di laurea, è riuscito a dimostrarne in maniera
inconfutabile l'assoluta autenticità. Per capire i dubbi che gravavano
su questa lettera, bisogna rifarsi agli enigmi, veri o presunti, che sembrano
ancora eleggiare sulla controversa figura dello scopritore. Enigmi dovuti, in
larga parte, a un malinteso perbenismo che ha voluto presentarci Cristoforo
Colombo come un santo, in alternativa al ritratto di chi ha inteso invece proporcelo
come un esecrabile avventuriero senza scrupoli".
Secondo Martini, la ritrosia di Colombo a non voler rivelare in Spagna le sue
vere origini nasce solo dal fatto che egli non voleva si sapesse che era figlio
di quel Domenico Colombo finito in carcere per debiti, anche se solo per un
giorno. I dubbi sul luogo di origine e di nascita di Colombo, però, non
sussistono più. E a questo proposito Martini cita la testimonianza del
professor Aldo Agosto, già benemerito direttore dell'Archivio di
Stato di Genova, il quale viene a tutt'oggi considerato il maggior esperto
della questione.
La scandalosa lettera che tanto ha fatto discutere gli storici era contenuta,
in copia, in un brogliaccio, chiamato Manoscritto nero, che reca la data 1 novembre
1533, l'intestazione Ms. 1 C2 sulla copertina di cuoio scuro, e 128 fogli
numerati a matita. Questo manoscritto era stato lasciato in dono alla Biblioteca
Universitaria Bolognese il 12 aprile 1780 da Guido Antonio Zanetti, medico e
bibliofilo. La lettera firmata da Michael de Cuneo, contenuta tra le pagine
24 e 46, è indirizzata al "Nobili D. Hieronymo Annari" ed
è intitolata "De novitatibus Insularum oceani Hesperii reperatum
a Don Christoforo Columbo Genuensi".
Ovviamente mille sono i dubbi che la scoperta di questo manoscritto ha subito
suscitato. Tanto per cominciare, come mai quel manoscritto era finito nelle
mani del dottor Zanetti? Da dove proveniva? E come mai era saltato fuori soltanto
tanti anni dopo?
Per farla breve (l'intera storia è riportata con moltissimi dettagli
nel libro di Martini insieme a diversi altri contenuti colombiani) il giovane
Milazzo scoprì che i de Cuneo non erano originari della ben nota città
piemontese, bensì da Cunio, piccola frazione nei pressi di Segno, sulle
colline alle spalle di Vado Ligure. Non solo. Milazzo trovò anche lo
stemma della famiglia nel palazzo Gavotti e nel palazzo Pavesi-Del Carretto-Pozzobonelli
di Savona, accertò che Michele da Cuneo era nato nel 1448, tre anni prima
di Colombo, e morì nel 1503, sempre tre anni prima di Colombo. Il giovane
studioso risolse anche l'enigma del destinatario della lettera. Infatti,
per un errore di trascrizione, il nome non era Geronimo Annari ma Aimari. E
fu così possibile trovare anche le sue tracce. Insomma, la lettera era
autentica. Per cui si doveva affermare che, in effetti, Colombo aveva realmente
regalato l'indigena al suo compatriota, con tutto quello che un simile
atto comprende.
A difesa di Colombo vale la pena citare un altro episodio riportato da Martini.
Infatti nel 1512, a Santo Domingo, nel corso di un processo il testimone Romiro
Rodriguez raccontò che un giorno, nei pressi di Veragua, gli indiani
lasciarono sulla spiaggia due bellissime fanciulle facendo cenno agli uomini
di Colombo che potevano prendersele e farne ciò che volevano. L'ammiraglio
comandò che venissero portate a bordo, diede loro da mangiare, le fece
rivestire con abiti appropriati e poi le fece ricondurre a terra, con grande
sorpresa degli stessi indiani che le avevano "regalate". La morale
è che quella "camballa" regalata ad uno dei suoi uomini non
costituiva poi la norma. Dopotutto, sotto la giacca dell'ammiraglio spagnolo,
batteva pur sempre il cuore di un gentiluomo italiano.
Era figlio di Diego, il primogenito dell'Ammiraglio
Ribelle e bigamo, fu condannato all'esilio e fece sparire gli scritti del nonno
Fu uno scapestrato, ebbe una vita avventurosa, sposò due donne e da
bigamo venne cacciato dalla Spagna, suo paese Natale, pur essendo un nobile.
Le sue vicissitudini all'epoca fecero tanto rumore che il drammaturgo
spagnolo Tirso de Molina (1584-1648), pseudonimo dietro il quale si nascondeva
il frate Gabriel Téllez, ne trasse spunto per immortalare la figura del
Don Giovanni nel suo "L'ingannatore di Siviglia e convitato di pietra".
Ma soprattutto questo discutibile galantuomo si impossessò di tutti gli
scritti del suo celebre nonno, Cristoforo Colombo, e li fece sparire da qualche
parte in Africa, dove morì.
Pochissimi in Italia conoscono la vita e le peripezie di Luigi Colombo, figlio
primogenito di donna Maria de Toledo, cugina del re Ferdinando il Cattolico
e nipote del duca d'Alba, e di Diego Colombo, secondo Ammiraglio delle
Indie e figlio a sua volta del grande navigatore. A raccontare la storia di
questo nipote degenerato di tanto nonno, è Anunciada Colòn de
Carvajal, erede diretta di Colombo nonché storica dell'Università
della California e segretaria generale della Fondazione Storica Tavera di Madrid.
Il racconto che Anunciada fece durante un congresso cui venne invitata alcuni
anni fa in Italia, passò del tutto inosservato. Da noi già si
sa poco di Cristoforo Colombo, per cui a nessuno è venuto in mente di
approfondire la vita di suo nipote. Un po' come dire che nella storia
italiana un Colombo basta e avanza. Eppure, a ben vedere, la storia di Luigi
Colombo è davvero interessante. E soprattutto lascia un interrogativo
che perdura fino ad oggi: dove sono nascosti i preziosissimi scritti di Cristoforo
Colombo?
Seguendo il racconto di Anunciada Colòn de Carvajal, veniamo a sapere
che dal 1500 al 1609 l'intero archivio di Cristoforo Colombo è
stato custodito gelosamente dai monaci della Certosa di Santa Maria de las Cuevas
a Siviglia. Qui, infatti, l'Ammiraglio aveva il suo buon amico frate Gaspar
Gorricio con il quale aveva scritto il Libro delle profezie, una raccolta di
informazioni della Bibbia e dei padri della Chiesa. Fino al 1500 Colombo aveva
l'abitudine di portare sempre con sé i suoi documenti, un patrimonio
inestimabile dove erano contenuti anni di ricerche, scoperte e delusioni. Ma
proprio allora Francisco de Bobadilla, interpretando a suo modo gli ordini del
re, fece imprigionare Colombo e suo fratello Bartolomeo, sequestrandogli tutti
i beni di famiglia, carte comprese. Proprio per evitare che la cosa si ripetesse,
quello stesso anno Colombo portò le sue carte a frate Gaspar Gorricio
chiedendogli di custodirle. Anche perché i conventi godevano dell'immunità
ecclesiastica e nessuno poteva perquisirli. Dopo la morte del frate, l'archivio
venne diviso in due casse, una di ferro e l'altra di noce, che vennero
collocate al sicuro nella cappella di Sant'Anna. Qui affluirono anche
altri documenti fino al 1536, anno in cui si conclusero le liti legali tra la
famiglia Colombo e la Corona spagnola.
Purtroppo, però, un bel giorno al convento si presentò Luigi Colombo
e si portò via un bel po' di documenti, tra i quali anche il testamento
che il nonno fece nel 1502, poco prima di partire per il suo quarto e ultimo
viaggio nel Nuovo Mondo. Questo documento è quanto mai prezioso perché
tramite lo scritto che vi era contenuto, l'Ammiraglio istituiva legalmente
il Maggiorasco (e cioè la discendenza della famiglia in via esclusivamente
maschile) dove si diceva chiaramente "essendo nato a Genova". Anunciada
fa notare che le disposizioni del 1502 furono ratificate espressamente con un
codicillo dallo stesso Colombo il giorno precedente la sua morte, il 19 maggio
del 1506. Ma vediamo che cosa realmente successe.
Subito dopo la morte di Cristoforo Colombo, re Ferdinando disse al figlio Diego
che non voleva rispettare gli accordi economici presi a suo tempo con il padre.
Ma c'erano documenti firmati, per cui Diego passò alle vie legali.
Al momento doveva accontentarsi dell'amministrazione delle nuove terre
e del titolo di Ammiraglio delle Indie. Fu dunque nel pieno di una battaglia
legale senza soste che il 24 febbraio 1526 Diego Colombo morì a Montalban,
piccolo villaggio di Toledo, dove si era fermato prima di recarsi a Siviglia
dove era stato invitato per assistere alle nozze di Carlo V con Isabella del
Portogallo.
Rimasta vedova, Maria de Toledo pensò soltanto a crescere i sette figli
avuti con Diego, tutti ancora minori, e a portare avanti i processi contro la
Corona. Soltanto nel 1536 la questione legale venne risolta con una sentenza
arbitrale accettata da entrambe le parti: la Corte spagnola riconosceva all'erede
del Maggiorasco, Luigi Colombo, l'Ammiragliato delle Indie, importanti
proprietà in America (tra i quali l'isola di Giamaica e lo Stato
di Veragua (l'odierno Panama) con i titoli rispettivamente di marchese
e di duca, nonché di una consistente rendita annuale in denaro (esente
da qualsiasi imposta) considerata, fino alla perdita delle province d'oltremare
da parte della Spagna, come il primo debito da parte della Corona spagnola nei
riguardi dei Colombo. Famiglia che, già dai tempi di Diego, si era trasferita
a Santo Domingo.
Nel 1542 donna Maria de Toledo tornò in Spagna per combinare il matrimonio
delle tre figlie Maria, Giovanna e Isabella. In quel periodo Luigi, che aveva
21 anni, si innamorò perdutamente di Maria de Orozco, una bella ragazza
che aveva conosciuto in quel frangente, e le promise ufficialmente di sposarla.
Ma non aveva fatto i conti con la madre che, vice regina delle Indie, voleva
qualcosa di più per il suo Luigi. Per cui, anche se la promessa di matrimonio
a quel tempo aveva valore ecclesiastico, per cui di fatto Luigi era sposato
a tutti gli effetti con Maria de Orozco, donna Maria ebbe la meglio e si portò
via il recalcitrante figlio tornando a Santo Domingo. Non solo: tanto disse
e tanto fece che lo obbligò a sposarsi
con una donna di cui egli non ne voleva sapere, Maria de Mosquera, che in seguito
gli diede due figlie. Per Luigi fu l'inizio di un inferno che durò
fino al 1549 quando la madre, finalmente, passò a miglior vita. E lui
divenne il capo della famiglia. Pochi giorni dopo aveva già lasciato
Santo Domingo abbandonando la moglie e le due figlie, ancora bambine.
Giunto in Spagna, Luigi andò a cercare la sua prima Maria, ma la vita
reale non è un romanzo d'amore: venne così a sapere che
si era sposata con tale Francisco Castellanos, tesoriere, e si era trasferita
con lui in Honduras dove gli aveva dato un sacco di figli. Non l'avrebbe
mai più rivista.
Luigi, comunque, si consolò presto con un'altra fidanzata, Ana
de Castro, che, dopo aver chiesto la licenza papale, sposò nell'estate
del 1554. La licenza arrivò nel 1555 e quel'anno stesso presentò
domanda di divorzio da Maria de Mosquera, ma gli venne rifiutata.
Di fatto, dunque, Luigi si era sposato una prima volta con Maria de Orozco ma
il matrimonio era risultato nullo. Si era poi sposato con Maria de Mosquera
e questa volta con matrimonio legale. Quindi si era risposato, senza avere ancora
ricevuto la licenza papale, in terze nozze con Ana de Castro. E solo a quel
punto aveva chiesto il divorzio alla sua seconda moglie. Bene. Quando Maria
de Mosquera si vide arrivare la richiesta di divorzio, si limitò a denunciarlo
per bigamia. La sentenza arrivò nel 1565 quando Luigi Colombo, considerato
colpevole del reato, venne condannato all'esilio a Orano, in Algeria.
E dovette lasciare la Spagna dove non fece mai più ritorno.
Alcuni anni più tardi, tra l'altro, la Chiesa riconobbe la nullità
del matrimonio con Maria de Mosquera e lo stesso re spagnolo, Filippo II, concesse
il perdono al nipote del grande Ammiraglio delle Indie. Ma era troppo tardi.
Stanco e malato per una vita dissoluta, nel 1572 Luigi Colombo morì a
Orano all'età di 54 anni.
La domanda è: che fine fece l'archivio di Cristoforo Colombo che
il nipote Luigi custodiva con tanta cura? Egli era pienamente consapevole del
valore di quelle carte e per tale motivo le portò sempre con sé.
Secondo gli storici spagnoli, una possibile ipotesi è che, poco prima
di morire, Luigi Colombo nascose in un nascondiglio sicuro i documenti del nonno
a Orano, in Algeria. Ed è lì che dovrebbero trovarsi ancora adesso,
visto che nessuno li ha mai portati all'attenzione del mondo. Le risposte
sui misteri di Colombo, dunque, potrebbero essere seppelliti da qualche parte
nel deserto algerino in attesa che qualcuno, per intelligenza o per fortuna,
non riesca a mettere le mani su quel grosso baule.
"Colombo" di Dario G. Martini, Vallecchi Editore, 2005, pp. 272.
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