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Colombo, c'è chi lo vuole
figlio di un Papa

Si tratta del pontefice Innocenzo VIII, genovese,
che lo avrebbe avuto dalla nobildonna romana Anna Colonna

Due studiosi si sono rivolti all'Università di Pavia
chiedendo di cercare il Dna del navigatore

di Rino Di Stefano

(Il Giornale, Pubblicato Mercoledì 7 Aprile 2004)

L'ampollina contenente le ceneri di Colombo presso l'Università di PaviaIn questi giorni l'Università di Pavia si è vista recapitare una nuova richiesta di esami del Dna sui resti di Colombo che conserva in una teca dell'ateneo. A inoltrarla sono stati due storici romani, Lioniero Boccianti e Renato Biagioli, i quali (tanto per cambiare) si dicono convinti di poter dimostrare le origini di Cristoforo Colombo.
I due illustri studiosi avanzano l'ipotesi, che per loro è una certezza, che il grande navigatore non fosse il figlio di Domenico e di Susanna Fontanarossa, bensì del patrizio Gianbattista Cibo, futuro cardinale di Genova salito al trono di San Pietro col nome di Innocenzo VIII, e della nobildonna romana Anna Colonna. Secondo i due romani, il «fattaccio» sarebbe accaduto nel 1446 tra le discrete mura del Maschio Angioino di Napoli dove l'allora quattordicenne Cibo avrebbe avuto una relazione con l'affascinante romana. Quest'ultima, scopertasi incinta, con l'aiuto delle sorelle si sarebbe trasferita in una città dell'Emilia dove al termine dei nove mesi avrebbe infine «scodellato» l'intrepido Cristoforo. A questo punto, non si sa quando né come, il precocissimo Cibo avrebbe fatto in modo e maniera che il pargoletto fosse affidato a Domenico e Susanna, in quel di Genova, che l'avrebbero cresciuto come genitori adottivi.
In effetti la favoletta appena raccontata non è neanche nuova in quanto, prima del duo Boccianti-Biagioli l'aveva presentata il giornalista Ruggero Marino in un suo libro. E infatti pare che quest'ultimo abbia intrapreso un'azione legale contro i concittadini per tutelare la sua progenitura. Ci sarebbe però da chiedersi com'è che un quattordicenne, e cioè poco più di un bambino, possa mai intrattenere una relazione con una donna nel fiore degli anni. E com'è che poi possa avere avuto la disponibilità e il potere di aggiustare le cose in quel modo. Ma è noto a tutti che quando uno storico si mette un'idea in testa non ha importanza la realtà dei fatti, quanto il modo per farla passare come tale. Anche se il risultato è per lo meno inverosimile, come appunto in questo caso.
La riproduzione del verbale originale relativo al ritrovamento del resti di Colombo a Stanto DomingoA parte questi risvolti boccacceschi, quello che comincia a incuriosire molti lettori sono proprio le novità che in questo periodo stanno emergendo su Colombo. Molte di queste notizie gli studiosi accademici le conoscono da tempo, ma il grande pubblico no. E visto che tra il mondo universitario e la pubblica opinione c'è sempre stato un gap di comunicazione, forse sarebbe bene cercare di spiegare alcuni di questi aspetti un po' inconsueti. Per esempio, perché si fa tanto parlare dell'Università di Pavia? Che cosa c'entra la città lombarda con Colombo?
Per cercare di rispondere bisogna fare un salto indietro di 127 anni e cioè risalire alla calda mattina del 10 settembre 1877 quando nella chiesa metropolitana di Santo Domingo alcuni muratori trovarono una cassa metallica con i resti del grande navigatore. Alla presenza dell'Arcivescovo di Sirace, monsignor Rocco Cocchia, delegato apostolico presso le repubbliche di Santo Domingo, Haiti e Venezuela, vennero dunque allestite tre ampolline di vetro dove vennero sistemate le ceneri di Colombo, nella misura di circa un cucchiaino per ampolla. Ognuna di queste era destinata rispettivamente al Pontefice, alla città di Genova e all'Università di Pavia «dove è fondata opinione che Colombo abbia appreso le prime notizie di Nautica».
Il frontespizio originale del libro "Historie" di Fernando ColomboQueste ampolline partiranno da Santo Domingo soltanto tre anni dopo, esattamente il 25 marzo del 1880, con un attestato firmato dallo stesso Arcivescovo Cocchia con i sigilli del notaio Joaquin Maria Perez e del console italiano a Santo Domingo, Luigi Cambiaso. In effetti, però, ci fu una quarta ampollina e se la riempì per i fatti suoi lo stesso Cambiaso che la affidò al fratello, ammiraglio luan Battista Cambiaso, perché il «ricordo» restasse in famiglia. Quest'ampollina con i resti di Colombo è ancora oggi gelosamente conservata in casa di un gentiluomo genovese.
Tornando invece a Pavia, c'è da dire che molti studiosi genovesi non hanno mai digerito il fatto che Colombo possa aver studiato proprio nella città lombarda. D'altra parte, però, a rivelarcelo è Io stesso Fernando Colombo nel capitolo III del suo libro «Historie» pubblicato nel 1521 e, contemporaneamente, Bartolomeo Las Casas, amico personale dello stesso scopritore, a pagina 46 del volume I del suo «Historia». Perché mai questi due personaggi avrebbero dovuto mentire? Infatti agli inizi del 1800 venne istituita una commissione presieduta dall'allora rettore magnifico dell'Università di Genova, Gerolamo Serra, proprio per rispondere alla domanda: Colombo studiò a Pavia? La commissione rispose di sì senza alcun dubbio, ma gli studiosi del secolo dopo misero di nuovo in discussione questa affermazione.
Perché lo fecero? Perché, pur essendo ormai certo che Colombo era comunque un genovese, la circostanza di Pavia rivelava soprattutto una cosa: che Domenico, il padre di Cristoforo, non poteva essere quel povero Ianaiolo che la tradizione ci ha tramandato. Chi era allora Domenico Colombo? E come poteva permettersi di mandare il figlio a studiare allo «Studium Ticinense», come si chiamava allora l'Università di Pavia?
Un antico dipinto raffigurante Colombo nel Nuovo Mondo A questo punto si sovverte l'intera storia di Cristoforo, così come la conosciamo. Forse, allora, bisognerà prendere in considerazione la possibilità che la famiglia del navigatore venisse davvero da Cuccaro Monferrato, dove era feudataria per conto dei Marchesi del Monferrato, e da dove venne scacciata dall'invasione dei Visconti di Milano. Se Domenico fosse stato davvero un nobile decaduto, e comunque un faccendiere legato alla potente famiglia genovese dei Fregoso, allora si spiegherebbero tante cose. Prima fra tutti l'istruzione elevata di Cristoforo, poi il fatto che si fosse fatto le ossa in mare navigando agli ordini di un parente, suo omonimo, che aveva il grado di ammiraglio di Francia, come egli stesso racconta nelle sue memorie. Ci si spiegherebbe anche perché avesse avuto contatti diretti con le nobiltà genovese, romana (Papa compreso), spagnola e portoghese. Diventerebbe anche chiaro perché a Lisbona sposò la nobildonna Filippa Munoz Perestrello, della famiglia patrizia portoghese di origine piacentina. Un povero marinaio, come allora era Colombo, avrebbe mai potuto fare un matrimonio di questo genere?
Insomma gli interrogativi sono e restano tanti. Piuttosto aspettiamoci a breve un'altra puntata di questa storia infinita perché tra poco il professor José Lorente dell'Università di Granada annuncerà i primi risultati delle sue ricerche sul Dna di Colombo. Una nuova polemica italo-spagnola sta già per scoppiare.

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