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DAL NOSTRO LETTORE SPECIALE
(Il Giornale, Pubblicato Sabato 26 Aprile 2008)
Il
pomeriggio del 25 giugno 1876 il tenente colonnello dell'esercito americano
George Armstrong Custer (già generale di divisione durante la Guerra
Civile), all'età di 37 anni, aveva l'ultimo appuntamento con il destino
in una brulla prateria del Montana, a Little Big Horn, dove insieme a 262 dei
suoi uomini venne massacrato dagli indiani Sioux guidati dai capi Gall e Cavallo
Pazzo. Tra i caduti, che vennero quasi tutti mutilati e fatti a pezzi, c'erano
anche i suoi fratelli minori Tom Custer e Boston Custer, il cognato James Calhoun
e il nipote Audie Reed. Complessivamente, dei 647 uomini del contingente che
quel giorno raggiunse Little Bigh Horn, solo 384 restarono vivi, e cioè
buona parte dei soldati in forza ai battaglioni comandati dal maggiore Marcus
Reno e dal capitano Frederick Benteen, entrambi dislocati in altre postazioni.
Della colonna comandata da Custer, ci fu un solo sopravvissuto, il trombettiere
John Martin, il quale era stato inviato da Custer alla ricerca di Benteen per
chiedere rinforzi. Quell'ordine gli salvò la vita.
Ma il vero nome di quel trombettiere non era inglese. Il sedicente John Martin
si chiamava infatti Giovanni Martini, era nativo del paesino di Apricale, in
provincia di Imperia, e si era cambiato l'identità subito dopo
essere emigrato negli Stati Uniti. La sua storia, volutamente romanzata e per
molti versi distante da quella che realmente visse, ci viene raccontata nel
libro "John Martin, il trombettiere di Apricale. Da Garibaldi a Custer"
scritto da Claudio Nobbio e David Riondino per i Tascabili della Fratelli Frilli
Editori.
Il motivo per cui Giovanni pensò bene di cambiare nome, probabilmente
si trovava in patria. Infatti Giovanni Martini, nato il 16 marzo 1841 da Giacomo
e Giovanna Barberis, nel 1860 si era sposato con Caterina Rossi Craveta che
nel luglio successivo gli aveva dato un figlio, Leonida. Ma Giovanni, nonostante
ormai "tenesse" famiglia, non ci stava a far la fame in quel di
Apricale. Voleva girare il mondo, tentare la fortuna. Caterina invece non aveva
affatto la stoffa dell'emigrante. E così, dopo lunghe discussioni,
se ne tornò a casa dei genitori insieme al suo bambino. In un primo tempo
pare che Giovanni si unì alla Spedizione dei Mille di Garibaldi e acquisì
una certa esperienza militare. Di certo sapeva suonare la tromba e amava accudire
i cavalli. Poi fece il grande salto. Era il marzo del 1873. Giovanni si recò
a Glasgow, in Scozia, e qui si imbarcò sulla S.S. Tyrian, un vapore che
faceva rotta verso New York, dove giunse il 27. Non sarebbe mai più ritornato.
Un anno dopo si arruolò come trombettiere, disse di chiamarsi John Martin
e venne assegnato allo squadrone H sotto il comando del capitano Benteen del
Settimo Cavalleggeri. Dopo trent'anni, nel 1904, ormai sergente e noto
in tutto il mondo come unico sopravvissuto al massacro di Little Big Horn, si
ritirò dall'esercito.
A chi gli chiedeva di quel giorno nel Montana, rispondeva soltanto che era stato
baciato dalla fortuna e aveva portato a casa la pelle. Ma fu sempre molto orgoglioso
della sua divisa e delle esperienze che gli aveva fatto vivere durante quelle
che la storia degli Stati Uniti definisce le "guerre indiane".
Il libro, molto avvincente nel suo racconto, descrive il buon Giovanni come
un indomabile seduttore che passa da un guaio all'altro sempre a causa
di qualche donna. Ma, a prescindere dalla fantasia degli autori, tutto quello
che sappiamo di John Martin è che il 7 ottobre del 1879 sposò
l'irlandese Julia Higgins che gli diede otto figli, ma alla quale non
fu mai legato da vero amore. Così nel 1906 si separarono e lui andò
a vivere con la più piccola delle sue figlie, Sophie, a Brooklyn. Per
diversi anni lavorò come bigliettaio della metropolitana, poi con l'età
avanzata smise. Facendo un bilancio della sua vita, gli restava soltanto un
glorioso passato militare che i giornali americani di tanto in tanto rievocavano
in occasione delle cerimonie in ricordo di Custer a Little Big Horn. Quella
sera del 24 dicembre 1922 stava attraversando una strada dell'East Side,
proprio nelle vicinanze del ponte di Brooklin, quando un camion lo travolse
uccidendolo sul colpo. Aveva 81 anni. Lo seppellirono nel cimitero militare
di Cypress Hills, sempre a Brooklyn, ma il suo nome è ricordato anche
nel Cimitero Nazionale di Arlington, a Washington, dove vengono seppelliti gli
eroi della storia americana come John F. Kennedy.
Sulla lapide sotto cui riposano i suoi resti c'è scritto: "John
Martin, Sergente del 7° Cavalleggeri degli Stati Uniti, portò l'ultimo
messaggio del generale Custer nella battaglia di Little Big Horn il 25 Giugno
1876". Un modo come un altro per spiegare come anche un povero emigrante
ligure può entrare per sempre nella leggenda di un grande Paese quali
sono appunto gli Stati Uniti d'America.
"John Martin, il trombettiere di Apricale. Da Garibaldi a Custer" di Claudio Nobbio e David Riondino, Fratelli Frilli Editori, 2007, pp. 213, ISBN 9788875633127, €9,90.
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