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Un viaggio tra i labirinti
per riscoprire l’Italia

La nuova guida curiosa di Giancarlo Pavat alla ricerca di luoghi e simboli misteriosi

di Rino Di Stefano

(RinoDiStefano.com, Pubblicato Lunedì 23 Marzo 2020)

Copertina del libro "Guida curiosa ai labirinti d'Italia" di Giancarlo PavatProbabilmente è il più antico simbolo in assoluto nella storia dell’umanità. Le sue riproduzioni ambientali le ritroviamo in tutta la nostra Penisola, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Sardegna al Friuli-Venezia Giulia. E in ogni singolo caso assistiamo ad una riscoperta che, di volta in volta, illustra fini diversi di carattere artistico, terapeutico, archeologico, spirituale, ludico e molto altro ancora. Nel complesso, una sapienza esoterica che ha portato alla realizzazione di pregevoli opere d’arte che, in buona parte, sono sconosciute al grande pubblico. Stiamo parlando del labirinto, un argomento che lo studioso Giancarlo Pavat (grande appassionato di alpinismo e speleologia e uno dei maggiori esperti italiani di labirinti, ha organizzato numerosi viaggi e spedizioni sul Mare del Nord, Scandinavia e nel Baltico) ha trattato ampiamente nel suo libro “Guida curiosa ai labirinti d’Italia” dove si parla di oltre cento labirinti, realizzati in diverse tipologie e con i più diversi materiali, sparsi lungo tutto il nostro territorio. Come dice lo stesso Pavat nella sua presentazione, il libro vuole essere un invito a conoscere se stessi e il meraviglioso Paese che circonda tutti noi. Occorre dire subito che il volume è suddiviso in schede che affrontano, caso per caso, la singola storia del labirinto che viene sapientemente ed esaurientemente descritto. Un vero e proprio viaggio da un capo all’altro dell’Italia e, quindi, un’opera di consultazione per tutti coloro che fossero interessati a questa tematica. Gli argomenti trattati sono veramente tanti. Per esempio, non tutti sanno che il castello di Gabiano, in provincia di Alessandria, conserva uno splendido labirinto arboreo, realizzato dall’architetto parmense Lamberto Cusani (1877-1966) negli anni Trenta del secolo scorso. Questo labirinto rappresenta uno dei rarissimi esempi documentati nell’ambito dei giardini storici del Piemonte. Un’altra scoperta sono i labirinti realizzati con aiuole fiorite nel giardino di Villa Taranto, sulla sponda piemontese del lago Maggiore (lago Verbano) tra Intra e Pallanza. Questa meraviglia floreale la dobbiamo al capitano Neil Boyd McEacharn, figlio di una facoltosa e nobile famiglia scozzese, innamorato dell’Italia. Nato il 28 ottobre del 1884 a Garlieston, nella Scozia meridionale, venne per la prima volta nel nostro Paese all’età di otto anni e se ne innamorò. Da grande, nel 1930, acquistò la villa e la chiamò Villa Taranto in onore del suo antenato McDonald, nominato Duca di Taranto da Napoleone Bonaparte. La villa divenne così un vero e proprio splendore floreale. Il capitano McEacharn nel 1938 donò Villa Taranto allo Stato italiano, riservandosi l’usufrutto vita natural durante. Morì a quasi ottant’anni, il 18 aprile 1964, mentre stava sulla veranda affacciata sul suo meraviglioso giardino.
Villa Revoltella a TriesteMa gli spunti storici descritti da Pavat sono davvero molteplici. E’ il caso, tanto per citarne uno, del labirinto arboreo di Villa Revoltella, a Trieste. La villa si trova tra i rioni di Rozzol e Cattinara e prende nome dal suo proprietario, Pasquale Revoltella.  Contrariamente a quanto possa far pensare l’eredità che ha lasciato ai posteri, Pasquale veniva da una famiglia piuttosto povera e nacque a Venezia nel 1795. Il padre, Giovanni Battista, faceva il macellaio; la madre Domenica era una lavandaia. Intuendo che Trieste era la nuova “regina dell’Adriatico”, a soli dodici anni Pasquale vi si trasferì. Non aveva nemmeno completato gli studi primari, ma era un gran lavoratore e fin da bambino mostrava di essere sveglio e intelligente. Quel ragazzo venne notato, quasi per caso, da Domenico Rossetti (1774-1842), scrittore, archeologo e patriota triestino, che gli pagò gli studi per frequentare le scuole serali. Non ancora trentenne, Pasquale Revoltella, self made man ante litteram, era già uno dei banchieri triestini più in vista. La buona società, incurante delle umili origini, aprì le sue porte al giovane banchiere che, nel frattempo, divenne consigliere di società quali il Lloyd Adriatico e le Assicurazioni Generali. Tra le sue amicizie c’era persino il fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe, cioè l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, che finirà i suoi giorni in Messico, fucilato il 19 giugno del 1867 a Queretaro dai rivoluzionari locali. Ma l’opera per cui Pasquale Revoltella merita di essere ricordato è il finanziamento del taglio del canale di Suez, in Egitto. Infatti, anche se l’idea del canale è del francese Ferdinand del Lesseps (1805-1894) e il progetto è stato realizzato dal trentino Luigi Negrelli (1799-1858), a finanziare quello che anticamente era stato il sogno dei faraoni, è stato proprio Revoltella. La questione che ci interessa, cioè il labirinto, sorge all’interno della villa che prende il suo nome. A progettarla venne chiamato l’architetto berlinese G.B. Hitzig, il quale “ideò La chiesa di San Petronio a Bolognauna dimora che sembra uno chalet svizzero e un grandioso e bellissimo parco (di circa 50.000 metri quadri) arricchito non solo della cappella neogotica (scelta tuttora da molte giovani coppie triestine per sposarsi), ma da fontane, statue laghetti e un piccolo labirinto arboreo”. Per inciso, la scelta cadde sulla zona del Cacciatore, allora campestre e isolata, oggi parte integrante del centro cittadino. Come racconta Pavat, “Il labirinto di bosso, inserito in uno spazio quadrangolare, è diviso in quattro settori da altrettanti vialetti. Percorrendo questi ultimi, dopo esservi entrati dai corrispondenti ingressi delimitati da colonne quadrate con fioriere in cima, si giunge nel cuore del labirinto, occupato da una vasca con i pesci rossi. Al centro dei quattro quadranti si innalzano altrettante statue acefale classicheggianti”.  Revoltella, che nel 1867 aveva ricevuto dall’imperatore Francesco Giuseppe il titolo di barone, non dimenticò mai le sue umili origini. Numerose furono dunque le sue donazioni per aiutare le classi meno abbienti, gli ammalati, i bambini. E, infine, donò la villa e il parco al Comune di Trieste perché ne usufruissero tutti. Pasquale Revoltella volle essere seppellito in un sarcofago nella cripta della cappella neogotica dedicata a San Pasquale, accanto all’amatissima madre che tanti sacrifici aveva fatto per lui.
Un’altra menzione particolare la merita il labirinto di San Petronio, a Bologna.  Stiamo parlando della terza chiesa più grande d’Italia, con un passato storico di tutto rispetto. Fu qui, infatti, nel 1530 che avvenne l’ultima incoronazione di un L'area della grotta di Polifemo a EriceSacro romano imperatore da parte di un pontefice. Come spiega Pavat, “L’imperatore era Carlo V d’Asburgo, già re di Spagna e dell’immenso impero transoceanico (quello su cui ‘non tramontava mai il sole’), mentre il papa era Clemente VII (al secolo Giulio de’ Medici, 1478-1534, figlio di quel Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico, assassinato durante la congiura dei Pazzi del 1478)”. Ebbene, all’interno della chiesa ci sono anche gli affreschi di Giovanni da Modena che decorano la cosiddetta cappella dei Re Magi o cappella Bolognini. La caratteristica principale di questo affresco rappresenta il “profeta Maometto, avvolto nelle fiamme dell’Inferno e seviziato dai diavoli, che non fa dormire la notte gli integralisti islamici che, ritenendolo blasfemo, vorrebbero distruggerlo, magari facendolo saltare in aria assieme a tutta la basilica. Nel 2002 le forze dell’ordine sventarono, grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali di una decina di marocchini e tunisini residenti a Milano, un piano terroristico che aveva come obiettivo proprio l’affresco di Giovanni da Modena”. Insomma, a parte il piccolo labirinto pavimentale della chiesa, non c’è dubbio che anche San Petronio sia una delle curiosità peculiari di questo libro.
Infine, ma i temi da trattare sarebbero davvero tanti, vorrei ricordare quello che, a tutti gli effetti, viene definito il labirinto più antico del mondo, e cioè il pittogramma della grotta di Polifemo a Erice, Trapani. La storia di questo labirinto inizia nel 1986 quando Giovanni Vultaggio, presidente dell’Archeoclub di Trapani, la cittadina all’estremità occidentale della Sicilia, Il labirinto della grotta di Polifemostudiando una delle due grotte sul mare nei pressi dell’abitato di Bonagia, appunto quella detta di Polifemo, scoprì una serie di pittogrammi che riproducevano figure zoo-antropomorfe e diverse simbologie, tra le quali c’era appunto un labirinto. Dopo la scoperta dei pittogrammi, ci racconta Pavat, la Soprintendenza di Palermo organizzò alcune campagne di scavo coordinate dal grande archeologo siciliano Sebastiano Tusa (scomparso il 10 marzo 2019 nella sciagura del Boeing 737 dell’Ethiopian Airlines, schiantatosi al suolo tra Etiopia e Kenia). Ebbene, emerse che la caverna risultava essere stata utilizzata dall’uomo almeno dal 3000 a.C. Per cui, “Se i pittogrammi sono riconducibili alla medesima cultura che ha frequentato la grotta, allora non vi può essere alcun dubbio: il labirinto sulla volta ipogea potrebbe essere il più antico del mondo”. Il fatto venne poi riproposto nel mondo dalla ricercatrice Marguerite Rigoglioso, di evidenti origini italiane, che nel 1988 pubblicò un lungo articolo sulla prestigiosa rivista “Caedroia”. Insomma, tra le altre cose, abbiamo anche il labirinto più antico del mondo. Una lettura che vale davvero la pena di fare.

“Guida curiosa ai labirinti d’Italia – Un viaggio alla scoperta di luoghi misteriosi e ricchi di simboli nascosti” di Giancarlo Pavat, Newton Compton Editori, 463 pagine, ISBN 9788822736178, €10,00.

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