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Nella terza edizione del libro «Il Caso Zanfretta»
di Rino Di Stefano
un'appendice con i risvolti internazionali dell'incredibile vicenda
(Il Giornale, Pubblicato Martedì 27 Febbraio 2007)
A
passi felpati. Da cronista e da uomo di fronte al mistero. Mai scettico, possibilista
forse. Gli artigli ben piantati per terra quando il blob si consuma tra metaspazio
e ipnosi regressive. Dopo trent'anni Rino Di Stefano, caposervizio nella redazione
genovese de Il Giornale, rimette in circolo «Il caso Zanfretta».
Una terza edizione, complice la distanza, a scavare su Piero Fortunato Zanfretta,
guardia giurata dell'Istituto Val Bisagno, che nella notte tra mercoledì
6 e giovedì 7 dicembre 1978 fu ritrovato in stato di choc nei pressi
della villa «Casa Nostra» a Marzano di Torriglia. Disse di avere
visto «un essere enorme, alto circa tre metri, con la pelle ondulata,
come se fosse grasso o tuta molle, comunque grigia». Che volò via
«in una gigantesca luce a forma di triangolo sormontata da lucette di
colore diverso».
Il primo degli incontri ravvicinati del terzo tipo. Di Stefano, allora giovane
cronista del Corriere Mercantile, te lo dice prima, dopo e durante che sta mettendo
insieme solo fatti. Che non gli chiedessero chi ha incontrato veramente Zanfretta,
se la sfera esiste davvero, se sull'astronave Piero c'è stato e ha viaggiato
sul raggio verde sospeso da terra. Scattano le doppie mandate. Una questione
irrisolta, la magnifica ossessione aliena che non raccoglie prove provate, ma
si puntella su testimonianze. Perché un'inchiesta dei Carabinieri accertò
che ben cinquantadue persone avevano scorto un enorme disco volante volteggiare
in quelle ore su Torriglia. Poi c'era la traccia a forma di ferro di cavallo
di due metri per tre rinvenuta sul prato dove i colleghi recuperarono Zanfretta.
La notizia sparata sui quotidiani, la paura del ridicolo, quel freno a mano
tirato sulla curiosità del dubbio. Di Stefano fa lo slalom tra i colleghi
e l'urgenza di sbattere in prima pagina l'ipotesi folle di un uomo. Senza fare
troppa pubblicità si porta dietro il fotografo e cerca la traccia. La
sosta dal brigadiere Antonio Nucchi sull'attendibilità di Zanfretta,
gli indizi a confermare l'ipotesi UFO, la gente che racconta di avvistamenti,
il brigadiere della Finanza Salvatore Esposito che alzando la saracinesca si
vide illuminato a giorno, i fari della macchina dell'amico erano spenti e sopra
di loro galleggiava un enorme disco volante. Troppi tasselli per mollarla lì.
Il libro viaggia su uno spettacolare collage ad incastro. Di Stefano viene risucchiato
nell'ingranaggio. La sua àncora è il dato arpionato agli indizi,
il resto è trazione pura nel possibile. Da romanzo. Col fiato sospeso
ne assorbi il turbine ipnotico. Scatta la conta del vero - verosimile. Una proiezione
da colmare e la linea è impercettibile. Di Stefano funambolo si spinge
un po' più in là. La mano aggrappata al protocollo del reale e
il labirinto da esplorare. L'articolo può attendere. Troppo cinico vendersi
la pelle di Zanfretta per un pezzo gridato. Parla con lui. Dinanzi l'uomo che
quella sera non esitò, pistola in pugno, ad affrontare gli intrusi nella
villa di Marzano. Poi gli abiti caldi nonostante il freddo pungente. E i segni
dell'atterraggio. «Qualcosa di vero doveva esserci - scrive Di Stefano
-. Mi stupiva il fatto che quella storia coinvolgesse tante persone comuni».
Di Stefano spinge per sottoporre Zanfretta ad ipnosi regressiva. La tentazione
di saperne di più su quella notte. Il medico scelto è lo psicoterapeuta
Mauro Moretti. Inizia un rituale che si ripeterà per ogni incontro ravvicinato
del metronotte. Il botta e risposta scorre sulla pagina, con Zanfretta che ricostruisce
quella sorta di rapimento, l'orrore fisico degli alieni che arrivano dalla terza
galassia, che vogliono parlare e torneranno. Sconvolgente. Neanche venti giorni
dopo il secondo incontro. Sempre zona di Torriglia. Piero sta viaggiando sulla
127 della Val Bisagno. L'auto va da sola e acquista velocità. Poi lo
stop e una gran luce. Scatta l'allarme. Zanfretta verrà ritrovato vicino
alla scarpata terrorizzato mentre cercava di scappare. Nonostante il freddo
e la pioggia era caldissimo e asciutto. La scoperta attorno alla 127 di orme
di 50 centimetri di lunghezza e larghe 20, la vegetazione confinante con l'asfalto
sradicata a disegnare un'area a semicerchio di tre metri di diametro.
Mica finita. Sabbie mobili in cui indagare. Di Stefano annota tutto. A non convincerlo
sono i tempi: 4 minuti per compiere 4 chilometri di strada stretta e tortuosa
in una notte di tregenda. La rifà lui: 8 minuti col bel tempo e di giorno.
I livelli di lettura s'intrecciano a forze antagoniste. In crescendo. Urge altra
ipnosi regressiva. Elementi nuovi, l'interno dell'astronave, il doloroso casco
in testa, il calore altissimo, il dialogo concitato. Secondo Moretti nessuna
simulazione: «Resta ovviamente il dubbio: la realtà che lui ha
narrato è oggettiva o soggettiva? Devo dire che l'ipotesi di una realtà
oggettiva supera la soggettiva».
Di Stefano dà corda per poi ritirarla subito. Facile perdersi. Sette
mesi dopo ci risiamo. Zanfretta, in Vespa tra Quarto e Sturla, viene sollevato
da una misteriosa luce verde verso l'astronave. Due ore dopo il ritrovamento
sul monte Fasce. Di nuovo in ipnosi, la costante ritmica del libro. Saltano
le inibizioni e il linguaggio si fa più esplicito. Zanfretta parla di
una sfera che gli alieni gli daranno perché lui la consegni ad Hynek,
professore di astronomia. Un altro incontro ravvicinato tra il 2 e 3 dicembre
'79. Si perdono le tracce di Zanfretta ad un distributore in corso Europa.
I colleghi setacciano le alture poi su Torriglia, dentro ad una nuvola, due
grossi fari che li puntano. Poco distante la moto e poi Zanfretta. In ipnosi
Piero rivelò che gli alieni erano appena tornati dalla Spagna. Il giorno
dopo l'Ansa batte l'avvistamento a Guadalajara (Spagna). Semplice coincidenza?
«Tutti avevamo paura di credere ciò che una persona ragionevole
non può, non vuole credere».
Ti ripeti che è solo un romanzo. Stai per crederci, macchè, un
dato ti schianta di nuovo contro il possibile. Corda tesa e adrenalina. L'incontro
successivo fu il 14 febbraio 80, ancora ipnosi. Attraverso di lui parlano gli
alieni, come se lo controllassero e nessuno se la sente di dargli del bugiardo.
Ritmo incalzante e fiato sospeso. Zanfretta ingrassa di 14 chili e incanutisce.
Il quinto incontro «telepatico» il 13 agosto 1980, Piero torna sulle
alture di Torriglia, forse a nascondere la sfera affidatagli dagli alieni. L'ipnosi
non sortisce effetto. La situazione precipita. Lo sottopongono a perizie psichiatriche
e analisi cliniche. Nulla di nulla. Di Stefano mette in pista tutti i testimoni
e riporta avvistamenti concomitanti. Contestualizza, accidenti. Butta sul foglio
dati, ad inondarti. Ma non prove.
Oggi la nuova appendice. Con Zanfretta che racconta di altri cinque incontri.
Con l'ultima ipnosi e la sfera nascosta che Piero deve controllare perché
tutto sia pronto quando gli alieni torneranno. Poi più niente, fino all'invito
a Tucson nel '91 per il congresso Mondiale di Ufologia. Di Stefano si
porta il metronotte. Qui il contatto con una coppia americana, sedicenti eredi
di Hynek. Vogliono la sfera di Piero per realizzare un progetto su scala mondiale.
Promettono soldi, tanti, ad entrambi. Forse loro hanno le prove. Zanfretta non
ci sta. Altro schianto. Stop. La pellicola s'interrompe. Resta l'enigma della
sfera custodita (?) per trent'anni sui monti liguri. A che pro? Zanfretta nel
dicembre scorso torna a trovare Di Stefano. Gli parla di un check up che avrebbe
rilevato un corpo estraneo dentro l'osso del suo cranio (una prova?). I referti
non si trovano. Altro buco nero. Tra la parete e il vuoto, Di Stefano lancia
il gancio. Impossibile archiviare la faccenda. Dannatamente impossibile.
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