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DAL NOSTRO LETTORE SPECIALE
(Il Giornale, Pubblicato Domenica 27 Luglio 2008)
Vi
ricordate il caso di quel ragazzo palestinese di dodici anni che il 30 settembre
2000, due giorni dopo lo scoppio della seconda Intifada, restò ucciso
in uno scontro a fuoco tra soldati israeliani e miliziani palestinesi a Gaza?
Se ci pensate un attimo, nella vostra mente scorreranno le immagini del padre,
rannicchiato dietro un bidone, che cercava di proteggere il figlio. Ma alla
fine piangeva sul corpo esanime del ragazzo, colpito a morte dagli israeliani.
Il ragazzo si chiamava Mohammed Al Dura e quelle riprese televisive fecero il
giro del mondo provocando ovunque indignazione e sgomento. Si arrivò
al punto che Bagdad intitolò una delle sue strade principali alla piccola
vittima dell'eterno conflitto arabo-israeliano, in Marocco gli venne dedicato
un parco, la Tunisia emise un francobollo con il suo nome e Bin Laden, il principe
dei terroristi musulmani, parlò di lui in un discorso.
Ebbene quel ragazzo non è mai morto, suo padre non cercò affatto di proteggerlo
con il proprio corpo e tutta la scena fu soltanto una montatura per screditare
gli israeliani.
A svelare il complotto è stato un cittadino francese, Philippe Karsenty, fondatore
dell'agenzia Media Rating, il quale denunciò France 2, e il suo corrispondente
Charles Enderlin, cioè coloro che avevano fatto le riprese, di aver manipolato
le immagini. E infatti il 14 dicembre 2007, durante l'udienza in tribunale,
la verità infine venne a galla.
Questa incredibile storia di falsità mediatiche create intenzionalmente per
“vendere” la favola degli oppressori cattivi (gli israeliani) che martirizzano
un popolo indifeso (i palestinesi), è raccontata nel libro “Israele, verità
e pregiudizi – I media italiani e la seconda Intifada. Disinformazione e mistificazioni”
di Giuseppe Giannotti, pubblicato in questi giorni da De Ferrari Editore. Giannotti,
in quanto giornalista del quotidiano Il Secolo XIX, è del mestiere. Sa dunque
riconoscere un articolo obiettivo da un resoconto artefatto. Ed è per questo
che, da attento osservatore della questione mediorientale, ha voluto scrivere
un libro nel quale si denuncia, prove alla mano, che i media italiani in moltissimi
casi hanno manipolato intenzionalmente la verità per colpevolizzare gli israeliani
a beneficio dei palestinesi. Come egli stesso specifica nella sua introduzione,
ha preso in esame “principalmente i resoconti dei due quotidiani più diffusi
in Italia, Corriere della Sera e Repubblica, mettendo a confronto titoli, articoli,
commenti e fotografie, allargando in certi casi l'analisi ad agenzie e altri
organi di stampa”.
Il risultato è impietoso, perché ne esce l'immagine di una stampa italiana fortemente
partigiana verso i palestinesi e colpevolista contro gli israeliani, dipinti
sempre come feroci assassini e tirannici oppressori. La verità sui media italiani
viene ripetutamente stravolta e adattata, di volta in volta, per favorire i
palestinesi. A prescindere, appunto, da ciò che è effettivamente accaduto. Secondo
Giannotti, che riporta i testi degli articoli incriminati, chi ne esce peggio
è Repubblica la cui linea politica non si smentisce mai, neppure quando palesemente
i fatti danno ragione agli israeliani. Un esempio è quanto accadde il 21 maggio
2008, quando la Corte d'Appello di Parigi ha assolto dall'accusa di diffamazione
nei confronti di France2 e del suo corrispondente da Gerusalemme, Charles Enderlin,
ritenendo invece credibile l'ipotesi di una messa in scena preparata per i giornalisti
quel giorno. Quella notizia non ha mai trovato spazio nei giornali italiani.
Ma un'altra grossa vergogna per certo giornalismo italiano è il linciaggio di
due soldati israeliani a Ramallah il 12 ottobre 2000. Si trattava del caporale
Vadim Norzhich, immigrato dalla Russia, e del sergente maggiore Yossi Avrahami,
uccisi barbaramente a colpi di spranghe e bastoni da una folla di palestinesi
inferociti che, dopo averli buttati dalla finestra, ne hanno pure incendiato
i corpi. Una troupe televisiva del TG4, con la giornalista Anna Migotto, riesce
a nascondersi e a riprendere il linciaggio che poi fu trasmesso su Studio Aperto
(Italia 1) e TG4 (Rete 4). Quel filmato venne poi donato all'Ambasciata di Israele
a Roma che lo passò alle televisioni di tutto il mondo. Dalle riprese gli israeliani
riuscirono ad identificare e arrestare otto palestinesi coinvolti nel linciaggio.
Ebbene qualche giorno dopo, il 16 ottobre 2000, nel quotidiano palestinese Al
Hayat al Jedida, appare una lettera nella quale Riccardo Cristiano, corrispondente
della Rai da Gerusalemme, si scusa con i suoi “cari amici di Palestina” per
le riprese fatte dalla troupe di Mediaset e, sostenendo che la Rai non si comporta
in quel modo “(ossia nel modo che non lavoriamo come le altre reti televisive).
Non facciamo e non faremo cose del genere”.
Cristiano venne rimosso dal suo incarico (divenne Vaticanista), fu aspramente
criticato dal Corriere della Sera, ma difeso da Repubblica che ne sottolineava
la competenza. Nel suo libro “L'ossessione antisraeliana” Edoardo Tabasso giudicò
il comportamento di Cristiano “la Caporetto dell'informazione italiana”.
Ma non finisce qui. Altri esempi rendono questo libro uno dei più interessanti
per comprendere come funziona realmente il giornalismo italiano all'alba di
questo nuovo millennio.
“Israele, verità e pregiudizi” di Giuseppe Giannotti, De Ferrari Editore, 2008, pp. 199, ISBN 9788871729770, €16,00.
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