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DAL NOSTRO LETTORE SPECIALE

L’America e il nucleare,
quanti disastri sconosciuti

Nel libro «Cavie umane» il racconto di molti incidenti
avvenuti nelle centrali o per operazioni militari

di Rino Di Stefano

(Il Giornale, Pubblicato Sabato 24 Settembre 2011)

Cavie Umane – L’America e l’energia nucleare: cronaca di un disastro annunciatoJohn Wayne, il grande attore americano scomparso nel 1979, sarebbe morto a causa delle radiazioni che lo colpirono nel 1954 mentre girava un film nel Nevada Test Site, cioè il deserto tra California e Utah che il governo americano usava come poligono per le bombe nucleari. A rivelare questa notizia  è il libro “Cavie Umane – L’America e l’energia nucleare: cronaca di un disastro annunciato” di Harvey Wasserman e Norman Salomon (con la collaborazione di Robert Alvarez e Eleanor Walters), la cui edizione italiana è stata pubblicata a cura dell’associazione culturale “Italia Storica” di Genova. La versione originale del libro si intitola “Killing Our Own”, letteralmente “Uccidendo i nostri”, nel senso che parla degli oltre 300 mila tra cittadini e soldati americani sacrificati intenzionalmente sull’altare della potenza militare USA per testare gli effetti delle esplosioni nucleari sugli esseri umani. Un libro, come dice il dottor Benjamin Spok nell’introduzione, letteralmente agghiacciante. Un documento, come affermano gli stessi autori, che “non è una lettura felice, né è stato bello scriverlo”.
La probabile causa della morte di John Wayne è un argomento che le forze armate americane hanno sempre cercato di non affrontare. Il fatto è che il deserto del Nevada, in seguito alle continue esplosioni atomiche tra gli anni quaranta e cinquanta, era (ed è) altamente radioattivo. Ma le autorità continuavano a sostenere (e lo hanno fatto fino alla fine degli anni novanta) che le radiazioni non erano pericolose. Per cui hanno lasciato che la troupe cinematografica del film “Il conquistatore”, ricostruzione drammatico-storica della vita di Gengis Khan, prodotto e finanziato dal miliardario Howard Hughes, si recasse nelle dune sabbiose fuori St. George, nello Utah, senza minimamente avvertirla del pericolo che correva. Attori, tecnici e operatori vi restarono tre mesi. Nel cast, oltre a John Wayne, c’erano Susan Hayward, Agnes Moorehead e Pedro Armendariz. Il regista era Dick Powell. Le radiazioni, si sa, sono un killer silente che uccide poco per volta, causando varie forme di cancro. E di questo, infatti, morirono tutti. John Wayne morì nel ’79 di tumori ai polmoni, alla gola e allo stomaco; la Hayward nel ’75 di tumori al cervello, al seno e all’utero; la Moorehead nel ’74 di cancro all’utero;  Armendariz si uccise con un colpo di pistola nel ’63 in ospedale a Los Angeles, dove era stato ricoverato per un cancro ai reni e al sistema linfatico; Powell morì nel ’63 a causa di un devastante linfoma. Delle 220 persone del cast, senza considerare la sorte sconosciuta dei 200 indiani utilizzati come comparse, 91 avevano contratto tumori e 46 di loro morirono entro il 1980.
Soldati statunitensi durante un'esplosione atomica nel NevadaMa questa tragedia hollywoodiana è soltanto un piccolo esempio dell’immenso dramma a stelle e strisce patito dalla popolazione americana a causa dell’atomo. Tutto iniziò con il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Pur sapendo del fallout radioattivo, e cioè delle radiazioni che contaminano il luogo e l’atmosfera dove è avvenuto il bombardamento, le autorità militari statunitensi inviarono i propri soldati (privi di qualunque indumento di protezione) sul posto, per verificare gli effetti della bomba. E’ il caso del caporale dei Marines Lyman Quigley, 23 anni, responsabile di una squadra che doveva rimuovere le strutture crollate a Nagasaki. Quigley giunse nella città giapponese 45 giorni dopo l’esplosione della bomba. “Era una visione raccapricciante – raccontò – I cadaveri venivano ancora bruciati all’aperto. I capelli delle donne cadevano, le teste degli uomini erano lisce e tutti avevano piaghe purulente sulla testa, sulle orecchie, da tutte le parti”. Il giovane caporale rimase in quell’inferno per 43 giorni, respirando l’aria radioattiva e bevendo l’acqua inquinata. Venne anche decorato, ma dal congedo nel ’45 in poi il suo fu un calvario senza sosta. Anche perché moltissimi di quei Marines furono colpiti da mieloma multiplo, mielofibrosi e leucemia. A lui venne un cancro allo stomaco, uno in testa, una malattia polmonare ostruttiva e cinque attacchi di cuore. Chiese aiuto alla Veterans Administration, l’ente militare di assistenza, ma gli fu negato. Allora, comprendendo che il suo non poteva essere un caso isolato, cominciò a cercare i vecchi commilitoni. Ne trovò diversi e vide che tutti, chi più e chi meno, erano nelle sue stesse condizioni. Ma il suo lavoro non proseguì a lungo: nel 1980, all’età di 58 anni, ridotto ormai ad una larva umana, fu stroncato dall’ennesimo attacco di cuore.
Il sacrificio di Lyman Quigley non servì a far cambiare idea al governo americano. Anzi, preso com’era dalla corsa agli armamenti per non farsi superare dai russi, incrementò gli esperimenti. Ad esempio, subito dopo le esplosioni delle bombe atomiche nel poligono del Nevada, mandavano interi battaglioni di soldati, sempre privi di indumenti protettivi, per esaminare i siti.
Ben presto, però, gli effetti delle bombe si fecero sentire anche sulle città. La nube atomica, infatti, trasportata dal vento, colpiva le popolazioni civili facendo salire a dismisura i casi di cancro e la mortalità infantile. Nel libro ci sono innumerevoli esempi, tutti ampiamente documentati con nomi, cognomi e località. Il problema è che la Casa Bianca e gli enti federali si ostinavano ad affermare che le voci circa la pericolosità delle radiazioni era del tutto infondata. E scienziati come il dottor Ernest Sternglass, che dimostrarono scientificamente l’ingente pericolo dell’atomo, vennero sistematicamente perseguitati.
Il libro passa poi agli incidenti nelle centrali nucleari, come il disastro a Rocky Flats nel 1978 o il più noto a Three Esplosione di una bomba atomica nel NevadaMiles Island nel 1979, mettendo in luce come l’industria nucleare abbia sempre cercato di fare i propri interessi, infischiandosene delle popolazioni. Un esempio è il fatto che acque radioattive venissero regolarmente scaricate in fiumi e laghi che rifornivano d’acqua intere città. Ma le continue proteste della gente non sono rimaste inascoltate e alla fine nel 1990 il governo USA ha dovuto ammettere di aver causato gravi danni di salute a decine di migliaia di americani, stabilendo notevoli risarcimenti economici alle vittime delle radiazioni.
Deve essere però chiaro che questo libro, pur con il suo terribile atto d’accusa, non è antiamericano. Se tutte le nefandezze qui raccontate sono state rese pubbliche, è perché ai ricercatori è stato possibile effettuare il loro lavoro. Che sappiamo, invece, di quanto accadde in Russia nello stesso periodo? A parte l’incidente di Chernobyl,  nell’inverno del 1957-58 una tremenda esplosione squarciò il deposito di scorie radioattive a Kyshtyn, sui Monti Urali, uccidendo centinaia o forse migliaia di persone. I russi, a questo proposito, non vollero mai dire nulla. Inoltre gli Stati Uniti non sono stati l’unico paese a far esplodere bombe atomiche. A oggi gli americani hanno effettuato 1.054 esperimenti nucleari, con l’impiego di 1.151 ordigni, dei quali 331 esplosi nell’atmosfera e 839 nel sottosuolo. Seguono la Russia comunista con 715 test con 959 ordigni, la Francia con 210 test, Inghilterra e Cina con 45, India e Pakistan con 6, la Corea del Nord con 2.
E anche gli impianti nucleari sembra abbiano fatto il loro tempo negli Stati Uniti, visto che solo nel 1980 sono stati cancellati 16 reattori e 69 sono stati rinviati a data da destinarsi, in quanto si ritiene che “l’energia atomica non sia più un investimento ragionevole”. Gli innumerevoli casi di cancro che stanno decimando la popolazione mondiale fa pensare che probabilmente non lo è mai stato.

“Cavie Umane – L’America e l’energia nucleare: cronaca di un disastro annunciato” di Harvey Wasserman e Norman Solomon (con la collaborazione di Robert Alvarez e Eleanor Walters), edito dall’associazione culturale Italia Storica di Genova, 2011, pp. 340, ISBN 9786009941285, €28,00.

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