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“Portobello” ha fatto ritrovare ieri sera a una donna napoletana il “soldatino” genovese che nel 1943 aveva aiutato a fuggire dai tedeschi che lo avevano fatto prigioniero

“Vorrei sapere
se è vivo…”
Poi squilla il telefono
e sono lacrime di gioia

Il signor Aldo Franzosi (questo il nome del salvato) ci racconta in un’intervista esclusiva la sua drammatica avventura e con comprensibile commozione ricorda il magico momento in cui una ragazzina del popolo partenopeo riconfermò davanti alla tragedia e alla storia il senso profondo della solidarietà e del coraggio

“Madre e figlia mi chiamavano "o piccirillo"
e rischiavano la vita come se fossi un figlio o un fratello”

di Rino Di Stefano

(Corriere Mercantile, Pubblicato Sabato 9 Luglio 1977)

Era l’8 settembre del 1943. Nel palazzo delle poste del quartiere di Margellina, a Napoli, un manipolo di soldati italiani, quello che rimane del 40° reggimento fanteria, sta tentando disperatamente di resistere alle più numerose truppe tedesche.
C’è una vera e propria battaglia in atto. Dappertutto si sente il crepitio delle mitragliatrici, colpi di cannone ed esplosioni sorde di bombe a mano. Un aereo tedesco sorvola a bassa quota il palazzo dove gli italiani sono asserragliati, sgancia qualche bomba e risale subito.
Dopo qualche ora gli italiani, stremati e senza più munizioni, sono costretti ad arrendersi. I tedeschi li fanno mettere in fila con le mani sulla nuca e man mano che passano li colpiscono tutti con i calci dei fucili. “Dannati italiani”, continuano a ripetere. Il tenente che comandava gli italiani, un veterano della campagna di Russia, viene subito ucciso sul posto.
I prigionieri incolonnati vengono fatti camminare verso i camion tedeschi. Ultimo della fila è un ragazzo di 18 anni che è appena al suo sesto mese di militare. Nato in provincia di Cremona, Aldo Franzosi, questo è il suo nome, è un genovese di adozione. Prima di essere chiamato alle armi, studiava per diventare perito tecnico industriale al “Galileo Galilei”.
Impaurito e confuso, Aldo sta ancora seguendo la colonna dei suoi commilitoni quando, dall’angolo di una casa, vede una donna anziana e una ragazza che gli fanno dei cenni. I gesti sono inconfondibili: “Scappa”, gli dicono le donne, “fai presto, non starci a pensare o non ce la fai più”. Aldo non perde tempo. Sa cosa lo aspetta con i tedeschi, per cui, persa per persa, si mette a correre come un pazzo verso la casa. Dietro di lui sente un tedesco urlare e qualcuno spara. Ma ormai ha raggiunto le due donne. La più anziana lo prende per un braccio e lo guida verso un portone. Le scale sono buie e strette. In un attimo sono tutt’e tre dentro un appartamentino e finalmente si chiudono dietro la porta.
In quella casa Aldo divide le poche patate che ci sono con madre, padre e la figlia di 17 anni. Un’altra figlia più grande e già sposata li viene a trovare di tanto in tanto per portare un po’ di cibo. La madre lo chiama “figlio” e “piccirillo”. Vorrebbe che lui stesse lì fino alla liberazione, ma Aldo pensa a casa e dopo due giorni, con qualche coperta e un po’ di pane, rivestito in abiti borghesi, lascia i suoi ospiti promettendo di farsi vivo non appena le cose si sistemeranno.
Tutto quello che la famiglia napoletana sa di lui è il suo nome, Aldo Franzosi. E da allora non lo rividero mai più, né mai seppero se effettivamente riuscì a raggiungere Genova o se morì strada facendo.
Probabilmente nessuno avrebbe mai saputo di questa storia se quella che era una volta la ragazza di 17 anni, nella cui casa Franzosi trovò rifugio, non avesse scritto a Enzo Tortora, raccontandogli l’intero caso. Antonietta De Mattia, questo è il nome della donna, ora è madre di cinque figli e fin da allora ha continuato a chiedersi se quel soldatino impaurito fosse riuscito a tornare a casa o no.
Ieri sera Antonietta De Mattia è stata ospite di “Portobello”, la trasmissione condotta e diretta da Enzo Tortora, e di fronte a 17 milioni di telespettatori ha raccontato la patetica e avventurosa storia del soldato genovese.
Dopo 34 anni chi potrebbe mai dire dove è, e se è ancora in vita, questo signore? Ma quello che sembrava impossibile, improvvisamente è avvenuto. “C’è una telefonata importante per lei”, ha detto la valletta a Enzo Tortora. Dal salottino dove era seduto con la signora De Mattia, Tortora ha sollevato la cornetta. “Pronto”, ha risposto una voce rotta dall’emozione, “Sono Aldo Franzosi”. “Come?”, ha esclamato visibilmente stupito Tortora, “Ma è proprio lei?”. “Sì, sì, sono io. Sono Aldo Franzosi”, ha risposto la voce.
A questo punto la signora De Mattia non ce l’ha fatta più: si è coperta la faccia con le mani ed è scoppiata in singhiozzi. Dall’altra parte del telefono, Franzosi piangeva pure. “Io volevo venire a Napoli”, le diceva cercando di scusarsi, “Ma non sapevo più dove cercarvi e non mi ricordavo il nome”. “Abito sempre lì”, gli ha risposto la signora De Mattia.
A conclusione della commoventissima telefonata, dopo un reciproco scambio di indirizzi, Tortora ha detto che “Portobello” farà in modo che Franzosi e la De Mattia si incontrino a Napoli, là nello stesso posto dove si conobbero tanti anni fa.
La signora De Mattia ha descritto Aldo Franzosi come alto un metro e ottanta e con capelli castani. In realtà Franzosi è di altezza media e il colore dei capelli, anche se ormai sono brizzolati di bianco, una volta erano di un nero intenso. Non appena lo si incontra ci si rende subito conto che è una persona affabile e alla mano, un po’ timida. Parlando con lui si nota, però, quella durezza di intenti che distingue l’uomo di carattere. Aldo Franzosi è insomma un tipo simpatico con cui ci si scambia volentieri quattro chiacchiere.
Parlando di Napoli e di quel settembre del ’43, Franzosi dice che ha sempre ricordato con affetto quella gente e che avrebbe voluto ritornare per vederli, ma per una cosa o per l’altra, come molte volte succede nella vita, non lo ha potuto fare.
“Mi hanno salvato la vita a rischio della loro”, ci ha detto Franzosi, “Ricordo a malapena quei giorni perché ero in uno stato di confusione mentale impressionante. Ho ancora sotto gli occhi la scena di quando eravamo all’interno dell’Ufficio Postale. Alle mie spalle c’era un maresciallo che mi diceva come usare la mitragliatrice Breda. Ogni proiettile doveva essere un tedesco morto, era solito dirmi. Poi i tedeschi ci hanno preso e si divertivano a picchiarci con i calci dei fucili. Ho visto con i miei occhi quando hanno sparato al tenente. Lo hanno ammazzato come se fosse un cane e non un uomo. Però lui ce lo diceva sempre che i tedeschi erano carogne. Lui, il tenente, veniva dalla Russia e lì i tedeschi tagliavano perfino le mani di quegli italiani che cercavano di salire sulle camionette per mettersi in salvo. Dei due giorni in cui sono stato in casa di quella famiglia – continua Franzosi – ricordo particolarmente la madre. Mi trattava come se fossi suo figlio e non voleva che io partissi. Ma io dovevo tornare a casa, non potevo rimanere a Napoli”.
“Come ha fatto a ritornare a Genova?”.
“Subito sono andato a piedi fino a Cassino. Mi nutrivo per strada mangiando l’uva che trovavo qua e la. Poi da Cassino sono andato a Roma con una tradotta organizzata da Papa Pio XII; tradotta che i tedeschi si erano impegnati a non disturbare. A Roma siamo stati assistiti dall’Opera Pontificia, per quanto riguarda il mangiare; poi, con un altro treno, sono arrivato fino a Piacenza. Lì a Piacenza, i tedeschi sono venuti meno ai patti, hanno fatto un altro rastrellamento e mi hanno arrestato. Anche qui me la sono vista brutta. E me la sono cavata per un miracolo. Nel vagone dove mi avevano messo, mi sono trovato di fronte ad un colonnello italiano in divisa e pure lui prigioniero. Vedendo che c’era un altro treno affianco a noi, che stava partendo, questo colonnello mi ha detto: ‘Tu sei troppo giovane per morire, salta su quel treno’. E con uno spintone mi ha buttato giù dal vagone. La sentinella mi ha visto e ha sparato, ma io con un salto mi sono ritrovato sull’altro treno, senza quasi rendermene conto. Così sono arrivato a Milano. Lì ho dei parenti che poi mi hanno aiutato ad arrivare fino a Genova”.
Adesso Franzosi sembra più rilassato. Accanto a lui c’è la moglie, la signora Rosa, insegnante alle Scuole Elementari di Prà. I coniugi Franzosi hanno due figli maschi di 14 e 18 anni rispettivamente.
“E’ sempre stato un fifone”, dice sorridendo la moglie, “ma ha sempre avuto una fortuna sfacciata”.
“Sì, ho sempre avuto molta paura”, ribatte il marito, “Ma è anche vero che ho avuto la presenza di spirito necessaria, quando mi è servita. Io non sono uno di quelli che si fa ammazzare così senza fare niente. Non posso neppure pensarlo”.
Franzosi, che attualmente è capo del Reparto Manutenzione della Morteo Soprefin, un’azienda del Gruppo IRI, si metterà in questi giorni in contatto con Enzo Tortora per l’arrangiamento del suo incontro a Napoli con la signora De Mattia.
Noi ora vorremmo spendere due ultime parole sul caso Franzosi-De Mattia.  Vorremmo infatti ringraziare queste due persone per la lezione di umanità che ci stanno dando. In tempi come questi, dove tutti i valori sembra che siano in discussione.
E quanto a lei, signor Franzosi, la sua storia non è la storia di un fifone. Bensì è la storia di tutti quegli Aldo Franzosi sparsi per l’Italia, che in quel tempo si trovarono coinvolti in una guerra che non volevano.

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Cliccare qui per vedere su RaiPlay la puntata di “Portobello” trasmessa dalla Rai Venerdì 8 Luglio 1977.
Dal punto temporale 01:04:50 viene presentata la storia della signora De Mattia e del signor Franzosi
(è richiesta la registrazione al sito)

 

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