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Sono quasi tutti morti i protagonisti del periodo di sangue
più cruento del dopoguerra e il paese intende voltare pagina
Fino a pochi anni fa parlare pubblicamente dei 27 omicidi
era molto pericoloso.
Oggi i giovani ignorano il passato e pensano solo al futuro
(Il Giornale, Pubblicato Martedì 15 Maggio 2007)
A
Bargagli nessuno parla del «mostro». Nessuno si perde ad analizzare
quei sanguinosi crimini post Resistenza che, complessivamente, portarono a 27
il numero delle persone ammazzate a vario titolo. Nessuno si ricorda di un certo
Carmine Scotti, brigadiere dei Carabinieri e poi partigiano bianco, cui un gruppo
di delinquenti che si misero al collo il fazzoletto rosso dei parigiani comunisti,
fece la festa. Gli cavarono gli occhi, lo misero letteralmente sulla graticola
da vivo e poi lo finirono con un colpo in testa. Ma che importa? è successo
tanti anni fa e poi ne ammazzarono altri 26 dopo di lui… A Bargagli nessuno
parla di quelle morti. A Bargagli nessuno parla.
è una bella giornata di sole, una di quelle che ti riconciliano con la
natura. Anche a Bargagli. Siamo seduti in un tavolo interno del Bar Ciarli,
al centro del paese, e cioé nel locale pubblico che fa anche da edicola e libreria.
Se a Bargagli vuoi prendere un aperitivo o incontrare qualcuno, è dal Bar Ciarli
che devi passare. Anche se c'è da chiedersi che cosa si intenda esattamente
con quel «al centro del paese» visto che Bargagli, a parte le 33 località in
cui sono suddivise le sue cinque frazioni, è fatta soltanto di qualche decina
di case lungo la statale Genova-Torriglia-Piacenza.
Con noi c'è Eugenio Ghilarducci, scrittore e giornalista, autore di diversi
libri di storia locale. Il più recente, «L'ultima missione» (Microart's Edizioni),
verrà presentato a breve e racconta quello che realmente avvenne nella Grande
Resa, cioè il 27 aprile del 1945 quando le truppe nazi-fasciste si arresero
agli americani proprio a Bargagli.
Ghilarducci parla piano, non vuole farsi sentire. «Dovete capire che qui nessuno
vuole dire niente su quei fatti - spiega - Prima di tutto la maggior parte di
coloro che hanno vissuto quel periodo sono morti. I superstiti sono pochi. E
comunque, anche chi sa, non vuole parlare. Ad esempio, qui, seduto ad un tavolo
vicino a noi, c'è il figlio di Pistone, quello che si è impiccato nel 1985.
Se gli domandassimo che cosa ne pensa di tutta questa storia, non direbbe niente.
E non può dire niente. Eppure so che Pistone fu una vittima innocente. Io credo
di sapere il perché si è ucciso…».
E allora perché non lo dice?
«Perchè non posso provare nulla. Qui non si riesce mai a provare nulla. Però
io so per certo che poco prima di fare quella fine, qualcuno disse a Pistone
che volevano colpire i suoi figli. A quel punto non gli rimase molta scelta:
o si uccideva, togliendosi di mezzo, oppure qualcuno avrebbe potuto colpirlo
nei suoi affetti più cari».
Ma perché tutto questo?
«E chi lo sa? Vendette, probabilmente. Forse aveva detto qualcosa che non doveva
a qualcuno che non avrebbe dovuto sapere. E allora non gli restava altra strada…».
Questo significa che qui a Bargagli c'è qualcuno che è libero di terrorizzare
il prossimo minacciandolo di morte, magari poi uccidendolo davvero?
«Beh, le minacce qui ci sono sempre state. Ricordo che nel 1989 un mio
amico venne a dirmi nel massimo segreto che qualcuno voleva farmi fuori per
quanto avevo scritto sugli ex partigiani. Io gli ho risposto che non mi preoccupavo
e, anzi, ho cominciato ad andare avanti e indietro per far vedere a tutti che
non avevo paura. Anche se le mie precauzioni ho dovuto prenderle…».
E cioé come si è difeso?
«Per esempio, nella casa che mi sono fatto a Bargagli, ho messo tre diverse
aperture. In quella della cucina, ho notato che di fronte aveva una collina.
Ciò significa che un tiratore scelto avrebbe potuto sistemarsi da quelle parti
e, da una distanza di 7-800 metri, colpire tranquillamente il suo obiettivo.
Così mi sono fatto sistemare uno spesso vetro antiproiettile che mi permette
di vedere anche l'esterno. Questo tipo di misure sono necessarie qui a Bargagli».
E non l'hanno più disturbata?
«Non direttamente, no. Quando poi ho incontrato l'uomo che mi aveva avvertito
della minaccia, gli ho detto che comunque bisognava vedere chi sparava per primo.
Così, quando hanno capito che non mi lasciavo impresssionare, hanno smesso di
minacciarmi».
Secondo Ghilarducci, anche il barista Federico potrebbe avere qualcosa da raccontare,
«ma c'è troppa gente nel bar». Forse, quando ci sarà un po' più di calma, sarà
disponibile a scambiare due chiacchere. Ma il tempo passa e il bar è sempre
più pieno. Inutile sperare in Federico…
Usciamo. Suggeriamo di andare a parlare con qualcun altro. E arriva il fruttivendolo.
«Che cosa? Cosa volete sapere di Bargagli? - risponde con fare circospetto alla
domanda - No, guardi, io sono qua da soli 15 anni. Non so nulla di tutta questa
storia. Non ho fatto esperienza diretta di quegli anni. Ma non avete nient'altro
da fare, voi?».
Pazienza, non era la persona giusta. Poco dopo due vigili,
un uomo e una donna, ci passano accanto. Ghilarducci lo conoscono tutti da queste
parti, per cui si scambiano due battute. La vigilessa è un funzionario
«in prestito» dal Comune di Genova. L'uomo, invece, è un
trentenne originario di Bargagli. «è parente di partigiani»,
avvisa Ghilarducci, come se la cosa dovesse preoccuparci. «No, non so
niente della vicenda del mostro di Bargagli - spiega il giovane vigile. E pare
sincero - è ovvio che ho sentito tante voci su questa storia, ma non
mi pare che qui nessuno se ne preoccupi più. è morta e sepolta,
ormai. Forse le discussioni tornano a fiorire in occasione del 25 Aprile, ma
si tratta pur sempre di ricordi sbiaditi. Ormai ben pochi sono sopravvissuti
a quei giorni. No, qui nessuno pensa più a quella storia».
Sarà pure così, ma Ghilarducci, che dice le stesse cose, non la racconta giusta.
è cauto, troppo prudente per non far pensare che la longa mano degli
ex partigiani rossi forse potrebbe ancora tornare a colpire. «Da queste parti
- insiste - la gente è diffidente. Non si espone con il primo che capita e meno
che mai si lascia andare a giudizi su quei fatti criminosi. Forse, se uno non
dicesse di essere giornalista, potrebbe ricavare qualcosa di più».
Già, ma rubare commenti e giudizi che poi ci si ritrova sulla stampa, non è
esattamente il massimo dell'etica professionale. Anche se qualche volta può
essere necessario…
Ma che aria tira a Bargagli a livello di forze dell'ordine? Le drammatiche uccisioni
del «mostro» hanno lasciato una scia criminogena nel piccolo paese disteso sulla
statale?
«Direi proprio di no - sostiene Paolo Lucchesi, maresciallo maggiore dei Carabinieri,
nativo di Albenga, in servizio a Bargagli - Io sono qui da oltre dieci anni
e devo dire che il posto è uno dei più tranquilli che io abbia mai incontrato.
Ovviamente con le eccezioni di alcuni fatti di sangue che sono finiti nelle
cronache di tutti i giornali. Vedete, le nuove generazioni ignorano completamente
la storia del "mostro" che ha reso Bargagli tanto famosa nel mondo.
Mi ricordo che qualcuno anni fa mi ha raccontato di essere stato riconosciuto
come residente di Bargagli alla frontiera tra Olanda e Germania. Pensate, i
doganieri conoscevano la storia delle misteriose uccisioni. è quindi
plausibile che i giovani non ne vogliano sentir parlare. La gente è stufa di
queste cose e non gradisce che ogni tanto i giornali ne scrivano. Del resto,
mettetevi nei loro panni: ma vi pare possibile che si debba parlare di Bargagli
soltanto per il "mostro"? è dunque ovvio che poi ci sia molta
soddisfazione tra i residenti quando qualcuno, come è successo recentemente,
appare sulle televisioni nazionali per parlare delle iniziative positive del
paese. Ormai la gente di qui vuole guardare avanti, non indietro. I partigiani,
il tesoro rubato, i tedeschi e tutti quegli omicidi appartengono ormai al passato,
un terribile passato, ma pur sempre un passato».
Parole sante, non c'è che dire. Ma a sentire Ghilarducci, qualche dubbio rimane.
«Qui a Bargagli - aggiunge lo scrittore - c'è una categoria che è particolarmente
sentita e rispettata: quella dei cacciatori. E sapete perché? Perché sono armati,
ecco perché. Dispongono di un'arma con cui possono farsi valere, mentre gli
altri sono svantaggiati rispetto a loro. Ma vi pare una cosa normale?».
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