|
In “Mia cara Marion…” raccolte 40 lettere inedite
che il futuro Presidente
inviò alla sorella dal 1926 al 1949
L'uomo con le sue paure e le sue certezze descrive le proprie ansie
e parla di come seguirà quel destino che lo ha segnato
(Il Giornale, Pubblicato Domenica 28 Novembre 2004)
"Domani?
Disperati come noi non pensano al domani, vivono alla giornata. E credono, credono
sempre. Al domani guardiamo con la nostra fede, non con noi: Essa, lo sentiamo,
trionferà. E sarà tutta luce, e in questo trionfo di luce voi
tutti, che vivrete certamente, potrete vedere gli splendori che irradieranno
dal sacrificio nostro, consumato nel silenzio. Viva la nostra fede, e moriamo
per voi". Silenzio, sacrificio, abnegazione. Per far trionfare la luce:
che è democrazia, che è libertà. Che è vita. Finalmente,
vita.
Trasuda di quella luce che è allo stesso tempo scopo e fine ultimo da
raggiungere con fede e coerenza nei propri ideali "Mia cara Marion. .
." (2004, De Ferrari, 13 euro e ricavati dei diritti d'autore devoluti
al Reparto di Chirurgia Pediatrica dell'ospedale San Paolo di Savona),
l'opera in cui il giornalista Rino Di Stefano, caposervizio della redazione
ligure de "il Giornale", ha raccolto le lettere inviate da Sandro
Pertini alla sorella Maria Adelaide, detta affettuosamente Marion, in venti
anni o poco più (dal 1926 al 1949).
Le giornate del 1926 a Milano per organizzare l'espatrio di Filippo Turati,
il periodo da dissidente in Francia (a Parigi prima,a Nizza poi), la reclusione
a Regina Coeli, al penitenziario di Santo Stefano nella stessa cella che è
stata di Luigi Settembrini, l'infiammazione tubercolare al polmone sinistro
che lo coglie nel 1930, il trasferimento nel carcere di Turi di Bari e, in seguito,
nella casa penale della Pianosa, il confino e - siamo al 1943 - il rientro nella
vita civile con l'apporto in prima linea del proprio contributo alla Resistenza:
scorre lettera dopo lettera tutto questo, negli scritti inviati da Pertini alla
sorella. Mutano i nomi (in Francia è Monsieur Jacques Gauvin, a Turi
il detenuto n. 7365, solo per citarne un paio), le professioni per sbarcare
almeno un misero lunario (oltralpe si trasforma in imbianchino, muratore e perfino
comparsa cinematografica), ma il Sandro Pertini che traspare nelle lettere è
di una coerenza e di una sensibilità a tratti commovente. Quello che
resta, insomma, è l'uomo. L'uomo
Sandro Pertini con le sue paure e i suoi punti fermi. L'uomo Pertini che
scrive all'amata sorella Marion e che, in realtà, scrive a se stesso.
Di se stesso. Getta su quel foglio bianco le ansie: come quella, della "altrui
solitudine". Già, perché restare solo, al "futuro
presidente più amato dagli italiani", non fa paura, anzi (il 27
marzo 1932, parlando della fidanzata che pazientemente lo attende fuori dal
carcere, Mati Ferrari, così si lamenta: "Perché non sono
solo con il mio destino? Ho fatto male, avrei dovuto troncare subito, appena
si sono manifestati i primi sintomi" o, ancora, ammette: " Per causa
mia dovrà soffrire ancora molti anni, ché non posso usufruire,
dato il mio passato, dell'ultimo decreto d'amnistia. E dopo questa
condanna dovrò fare ancora 5 anni di confino. La strada, dunque, è
ancora lunga per chi si ostina ad attendermi. ("Quanto egoismo crudele
in questo amore per la nostra fede"). Quello che lo terrorizza, è
che la madre, Maria Muzio, vedova e madre di tredici figli di cui solo cinque
in vita negli anni del fascismo (Luigi, Giuseppe detto Pippo, Eugenio, Sandro
e Marion) resti senza il supporto di alcuno (il 1° ottobre 1930, scrive:
"è necessario, Marion, che la nostra mamma non rimanga più
sola"). Così si preoccupa, Pertini, per le "sue" donne:
per la sua "vecchietta" (come chiama la madre, affettuosamente,
in una lettera del 1940: "Non abbandonarla; non lasciare sola la mia vecchietta");
per l'amata sorella, l'unica capace di comprenderlo (il 28 maggio
1933 Pertini prende la penna, e così "apre" il cuore alla
sorella: "Ricordi quando a te confidavo ogni mio sogno ed ogni mio entusiasmo?
Dopo, nessuno ha saputo più
comprendermi,
come tu mi hai sempre compreso") e di sacrificarsi, anche economicamente,
per lui. Così si preoccupa, Pertini, anche per il "buon nome"
della famiglia e per la coerenza: rifiuta e prega che la sorella respinga ogni
tipo di sostentamento economico da parte di amici e parenti (il 16 ottobre 1930,
afferma: "Non confidatevi con nessuno di questa affettuosa assistenza,
che mi prodigate, neppure con i più cari amici. Pensa, Marion, che gli
amici di oggi potranno diventare nemici di domani e non vi è nemico più
pericoloso e vile dell'amico di ieri"); si indigna, offende e resta
amareggiato quando la madre chiede, all'inizio del 1933, la grazia per
lui, per quel figlio malato di tubercolosi condannato a trascorrere ancora otto
anni in carcere ( "Ho pianto, sorella, e di nascosto; perché vi
sono lacrime troppo preziose, per farle conoscere a chi ci sta vicino. Non ho
mai chiesto nulla. Ho chiesto solo un po' d'affetto e buone parole.
Il carcere mai mi è pesato e mai, sorella, ho dato il minimo segno d'insofferenza.
Non domandavo e non domando che di continuare a sopportare tranquillamente la
mia pena, senza rimpianti e vane recriminazioni. Eppure non hanno saputo intendermi").
E, ancora: ci sono paragrafi e paragrafi dedicati a quel fratello Pippo, di
opposta fede politica, deceduto il primo settembre 1930 e rimpianto a lungo
da Pertini ("vorrei essere con voi, Marion, anche per un sol giorno, per
raccogliermi con tutti i miei ricordi di un passato lontano sulla tomba del
povero Pippo e dirgli adesso quello che non ho potuto dirgli quando gli uomini
e gli avvenimenti ci tennero divisi"); spunti di riflessione sull'importanza
della corrispondenza ("La corrispondenza, per noi staccati dal mondo,
è tutto, sorella. Perché toglierci anche questa gioia?"
o, ancora "Lei (la mamma, ndr) forse non riesce a comprendere tutto il
mio desiderio. Pare abbia sempre fretta, quando mi scrive. Ed i giorni se ne
vanno, questi giorni così preziosi per i ricordi di domani") e
sulla vitalità dello studio come elemento a cui aggrapparsi per non sprofondare
nel buio mentale del carcere; malinconie natalizie e voglia di tornare nella
nativa casa di Stella, anche se per pochi giorni, anche se di passaggio verso
il compimento della "missione" ("Spesso vado ricordando a
me stesso alcuni versi di un nostro poeta conterraneo, Remigio Zena, versi semplici
ma belli: "Ti porterò lontano, assai lontano - e tornerai fanciullo
all'improvviso - dove le acque ti fecero cristiano, dove tua madre ti
baciava in viso- Se tu sapessi com'è bella ancora, quella povera
casa abbandonata! Vieni con me a benedir l'aurora d'altra giornata".
Così un giorno ritornerò anch'io presso di te. come oggi
è ritornata la nostra Marion. Vi ritornerò per riposarmi un POCO
e poi riprendere il mio cammino. Ormai per me non vi può essere più
sosta lunga, fatta di pace e d'inazione. Sento in me qualche cosa che
mi sospinge a continuare la strada scelta con tanta fede e ferma volontà.
Andrò verso nuove sofferenze e nuovi sacrifici, non importa, questo pensiero
non dovrà arrestarmi. Bisogna saper lottare con fede non per noi, ma
per coloro che dopo noi verranno").
Paragrafi e paragrafi, in cui emerge una sorta di predestinazione da perseguire
con coerenza estrema, quasi anormale (è lui stesso a definirla così,
quando, in una lettera del 5 settembre 1943, scrive: "Son lotte intime
e dolorose, che io soffro e conosco. Noi siamo esseri anormali, che non apparteniamo
più a noi stessi, ma alla nostra fede, che tutti chi ha presi").
E se per la "comune" sorella Marion la strada verso la felicità
è tracciata nella famiglia ("Non soffrire, Marion. La vita ti ha
fatto pure doni grandi, non ti ha fatto conoscere solo dolori. Hai l'amore
di Aldo, uomo onesto e buono, hai i tuoi bambini che più belli il vostro
amore non poteva fare. Devi credere alla vita, sorella: guarda quanto sole vi
è per te. Amala, anche quando ti sembra crudele e maligna; per chi sa
amarla dà tesori di bene e gioia infiniti. Questa verità io sento
oggi, che non posso più vivere la vita. Bisogna perderlo un bene, per
poterlo veramente apprezzare"), per il Sandro Pertini finalmente in libertà,
la missione è ancora tutta da compiere. In solitudine. Deceduta la madre,
ad aspettarlo restano Marion e Mati. Lui, fra le due sceglie nuovamente il destino:
che lo vuole, anni dopo, Presidente della Repubblica. Anche se con una nuova
donna accanto (la poco più che ventenne Carla Voltolina), anche se libero,
Sandro, in realtà, sceglie di rimanere solo, a fare i conti con il suo
destino da predestinato. Solo, con quelli che erano i suoi sogni di luce, libertà,
democrazia. Quei sogni che si sono trasformati nella realtà. Della nostra
Italia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Libro correlato:
I miei libri | I miei articoli | Eventi & News | Rubrica Letteraria | Multimedia
Documenti | Facebook | X | YouTube | Instagram | Contatti
© 2001-2025 Rino Di Stefano – Vietata la riproduzione, anche parziale, senza esplicita autorizzazione
Informativa sul Copyright – Informativa sulla Privacy