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Quando Pertini scriveva dal carcere

In “Mia cara Marion…” raccolte 40 lettere inedite
che il futuro Presidente inviò alla sorella dal 1926 al 1949

L'uomo con le sue paure e le sue certezze descrive le proprie ansie
e parla di come seguirà quel destino che lo ha segnato

di Silvia Pedemonte

(Il Giornale, Pubblicato Domenica 28 Novembre 2004)

Pertini con la madre in una foto del 1897"Domani? Disperati come noi non pensano al domani, vivono alla giornata. E credono, credono sempre. Al domani guardiamo con la nostra fede, non con noi: Essa, lo sentiamo, trionferà. E sarà tutta luce, e in questo trionfo di luce voi tutti, che vivrete certamente, potrete vedere gli splendori che irradieranno dal sacrificio nostro, consumato nel silenzio. Viva la nostra fede, e moriamo per voi". Silenzio, sacrificio, abnegazione. Per far trionfare la luce: che è democrazia, che è libertà. Che è vita. Finalmente, vita.
Trasuda di quella luce che è allo stesso tempo scopo e fine ultimo da raggiungere con fede e coerenza nei propri ideali "Mia cara Marion. . ." (2004, De Ferrari, 13 euro e ricavati dei diritti d'autore devoluti al Reparto di Chirurgia Pediatrica dell'ospedale San Paolo di Savona), l'opera in cui il giornalista Rino Di Stefano, caposervizio della redazione ligure de "il Giornale", ha raccolto le lettere inviate da Sandro Pertini alla sorella Maria Adelaide, detta affettuosamente Marion, in venti anni o poco più (dal 1926 al 1949).
Le giornate del 1926 a Milano per organizzare l'espatrio di Filippo Turati, il periodo da dissidente in Francia (a Parigi prima,a Nizza poi), la reclusione a Regina Coeli, al penitenziario di Santo Stefano nella stessa cella che è stata di Luigi Settembrini, l'infiammazione tubercolare al polmone sinistro che lo coglie nel 1930, il trasferimento nel carcere di Turi di Bari e, in seguito, nella casa penale della Pianosa, il confino e - siamo al 1943 - il rientro nella vita civile con l'apporto in prima linea del proprio contributo alla Resistenza: scorre lettera dopo lettera tutto questo, negli scritti inviati da Pertini alla sorella. Mutano i nomi (in Francia è Monsieur Jacques Gauvin, a Turi il detenuto n. 7365, solo per citarne un paio), le professioni per sbarcare almeno un misero lunario (oltralpe si trasforma in imbianchino, muratore e perfino comparsa cinematografica), ma il Sandro Pertini che traspare nelle lettere è di una coerenza e di una sensibilità a tratti commovente. Quello che resta, insomma, è l'uomo. Pertini in una foto degli anni '40L'uomo Sandro Pertini con le sue paure e i suoi punti fermi. L'uomo Pertini che scrive all'amata sorella Marion e che, in realtà, scrive a se stesso. Di se stesso. Getta su quel foglio bianco le ansie: come quella, della "altrui solitudine". Già, perché restare solo, al "futuro presidente più amato dagli italiani", non fa paura, anzi (il 27 marzo 1932, parlando della fidanzata che pazientemente lo attende fuori dal carcere, Mati Ferrari, così si lamenta: "Perché non sono solo con il mio destino? Ho fatto male, avrei dovuto troncare subito, appena si sono manifestati i primi sintomi" o, ancora, ammette: " Per causa mia dovrà soffrire ancora molti anni, ché non posso usufruire, dato il mio passato, dell'ultimo decreto d'amnistia. E dopo questa condanna dovrò fare ancora 5 anni di confino. La strada, dunque, è ancora lunga per chi si ostina ad attendermi. ("Quanto egoismo crudele in questo amore per la nostra fede"). Quello che lo terrorizza, è che la madre, Maria Muzio, vedova e madre di tredici figli di cui solo cinque in vita negli anni del fascismo (Luigi, Giuseppe detto Pippo, Eugenio, Sandro e Marion) resti senza il supporto di alcuno (il 1° ottobre 1930, scrive: "è necessario, Marion, che la nostra mamma non rimanga più sola"). Così si preoccupa, Pertini, per le "sue" donne: per la sua "vecchietta" (come chiama la madre, affettuosamente, in una lettera del 1940: "Non abbandonarla; non lasciare sola la mia vecchietta"); per l'amata sorella, l'unica capace di comprenderlo (il 28 maggio 1933 Pertini prende la penna, e così "apre" il cuore alla sorella: "Ricordi quando a te confidavo ogni mio sogno ed ogni mio entusiasmo? Dopo, nessuno ha saputo più La casa natale di Pertini a Stellacomprendermi, come tu mi hai sempre compreso") e di sacrificarsi, anche economicamente, per lui. Così si preoccupa, Pertini, anche per il "buon nome" della famiglia e per la coerenza: rifiuta e prega che la sorella respinga ogni tipo di sostentamento economico da parte di amici e parenti (il 16 ottobre 1930, afferma: "Non confidatevi con nessuno di questa affettuosa assistenza, che mi prodigate, neppure con i più cari amici. Pensa, Marion, che gli amici di oggi potranno diventare nemici di domani e non vi è nemico più pericoloso e vile dell'amico di ieri"); si indigna, offende e resta amareggiato quando la madre chiede, all'inizio del 1933, la grazia per lui, per quel figlio malato di tubercolosi condannato a trascorrere ancora otto anni in carcere ( "Ho pianto, sorella, e di nascosto; perché vi sono lacrime troppo preziose, per farle conoscere a chi ci sta vicino. Non ho mai chiesto nulla. Ho chiesto solo un po' d'affetto e buone parole. Il carcere mai mi è pesato e mai, sorella, ho dato il minimo segno d'insofferenza. Non domandavo e non domando che di continuare a sopportare tranquillamente la mia pena, senza rimpianti e vane recriminazioni. Eppure non hanno saputo intendermi").
La tomba di Pertini nel cimitero di Stella E, ancora: ci sono paragrafi e paragrafi dedicati a quel fratello Pippo, di opposta fede politica, deceduto il primo settembre 1930 e rimpianto a lungo da Pertini ("vorrei essere con voi, Marion, anche per un sol giorno, per raccogliermi con tutti i miei ricordi di un passato lontano sulla tomba del povero Pippo e dirgli adesso quello che non ho potuto dirgli quando gli uomini e gli avvenimenti ci tennero divisi"); spunti di riflessione sull'importanza della corrispondenza ("La corrispondenza, per noi staccati dal mondo, è tutto, sorella. Perché toglierci anche questa gioia?" o, ancora "Lei (la mamma, ndr) forse non riesce a comprendere tutto il mio desiderio. Pare abbia sempre fretta, quando mi scrive. Ed i giorni se ne vanno, questi giorni così preziosi per i ricordi di domani") e sulla vitalità dello studio come elemento a cui aggrapparsi per non sprofondare nel buio mentale del carcere; malinconie natalizie e voglia di tornare nella nativa casa di Stella, anche se per pochi giorni, anche se di passaggio verso il compimento della "missione" ("Spesso vado ricordando a me stesso alcuni versi di un nostro poeta conterraneo, Remigio Zena, versi semplici ma belli: "Ti porterò lontano, assai lontano - e tornerai fanciullo all'improvviso - dove le acque ti fecero cristiano, dove tua madre ti baciava in viso- Se tu sapessi com'è bella ancora, quella povera casa abbandonata! Vieni con me a benedir l'aurora d'altra giornata". Così un giorno ritornerò anch'io presso di te. come oggi è ritornata la nostra Marion. Vi ritornerò per riposarmi un POCO e poi riprendere il mio cammino. Ormai per me non vi può essere più sosta lunga, fatta di pace e d'inazione. Sento in me qualche cosa che mi sospinge a continuare la strada scelta con tanta fede e ferma volontà. Andrò verso nuove sofferenze e nuovi sacrifici, non importa, questo pensiero non dovrà arrestarmi. Bisogna saper lottare con fede non per noi, ma per coloro che dopo noi verranno").
Paragrafi e paragrafi, in cui emerge una sorta di predestinazione da perseguire con coerenza estrema, quasi anormale (è lui stesso a definirla così, quando, in una lettera del 5 settembre 1943, scrive: "Son lotte intime e dolorose, che io soffro e conosco. Noi siamo esseri anormali, che non apparteniamo più a noi stessi, ma alla nostra fede, che tutti chi ha presi"). E se per la "comune" sorella Marion la strada verso la felicità è tracciata nella famiglia ("Non soffrire, Marion. La vita ti ha fatto pure doni grandi, non ti ha fatto conoscere solo dolori. Hai l'amore di Aldo, uomo onesto e buono, hai i tuoi bambini che più belli il vostro amore non poteva fare. Devi credere alla vita, sorella: guarda quanto sole vi è per te. Amala, anche quando ti sembra crudele e maligna; per chi sa amarla dà tesori di bene e gioia infiniti. Questa verità io sento oggi, che non posso più vivere la vita. Bisogna perderlo un bene, per poterlo veramente apprezzare"), per il Sandro Pertini finalmente in libertà, la missione è ancora tutta da compiere. In solitudine. Deceduta la madre, ad aspettarlo restano Marion e Mati. Lui, fra le due sceglie nuovamente il destino: che lo vuole, anni dopo, Presidente della Repubblica. Anche se con una nuova donna accanto (la poco più che ventenne Carla Voltolina), anche se libero, Sandro, in realtà, sceglie di rimanere solo, a fare i conti con il suo destino da predestinato. Solo, con quelli che erano i suoi sogni di luce, libertà, democrazia. Quei sogni che si sono trasformati nella realtà. Della nostra Italia.

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