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DAL NOSTRO LETTORE SPECIALE

Alessandro Varaldo,
il genovese che inventò il noir

di Rino Di Stefano

(Il Giornale, Pubblicato Mercoledì 16 Gennaio 2008)

Il Sette BelloSe a una delle tante trasmissioni televisive a quiz chiedessero quale fu il primo libro giallo di autore italiano pubblicato in Italia, è probabile che ben pochi, se non pochissimi, saprebbero rispondere. Si tratta infatti del libro "Il sette bello" del ligure Alessandro Varaldo (Ventimiglia 1876-Roma 1953), pubblicato nella primavera del 1931 da Arnoldo Mondatori Editore. Varaldo fu uno scrittore assai prolifico ai suoi tempi e arrivò addirittura a pubblicare fino a quattro libri l'anno. Eppure, oggi, il suo nome è conosciuto quasi esclusivamente dagli studiosi e dai rari appassionati del genere noir che ne hanno studiato le origini.
Quel libro, che segna davvero un punto di partenza per il romanzo di stile poliziesco nel nostro Paese, ci viene oggi riproposto dalla De Ferrari Editore che lo pubblica nella collana Piccoli Classici Italiani a cura del professor Francesco De Nicola. Studioso degli autori e dei problemi della civiltà letteraria italiana post-unitaria, il professor De Nicola è professore associato di Letteratura italiana contemporanea nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Genova e presidente del Comitato di Genova della "Dante Alighieri". Ed è proprio lui, come curatore della collana, che ha voluto ripubblicare quel primo e semisconosciuto giallo italiano, almeno per i contemporanei. Come spiega egli stesso nella sua presentazione, alla fine degli Anni Venti il romanzo poliziesco era opera quasi esclusivamente di autori stranieri, soprattutto di lingua inglese. Maestri indiscussi erano autori come S.S. Van Dine, Edgar Wallace, Robert Louis Stevenson e Anna Katherine Green. Ma siamo nel pieno del fascismo e il proliferare degli scrittori stranieri non piaceva affatto a Mussolini e camerati. Soprattutto in un periodo in cui si tendeva ad abolire tutte le parole estere e a italianizzarle. Così il governo fascista promulgò una legge a difesa degli scrittori italiani imponendo che in qualunque collana ogni cinque autori almeno uno fosse italiano. Arnoldo Mondatori, che da tipografo e libraio era diventato il più importante editore italiano dopo aver intuito quello che sarebbe stato lo sviluppo del fascismo in Italia (stampò i manifesti della marcia su Roma nel 1922 e ne ricavò ottime occasioni di lavoro come la stampa del testo unico per le scuole elementari nel 1930) immediatamente capì che il genere poliziesco avrebbe avuto un gran futuro, e allora incaricò Varaldo di scrivergli il primo romanzo che, dal colore della copertina, sarebbe stato il primo "giallo" italiano.
La lettura di questo libro è davvero consigliabile per capire quale fosse la realtà sociale dell'epoca. Estremamente chiara, la scrittura è anche accattivante e coinvolgente, pur se inevitabilmente datata. Il romanzo, infatti, racconta la storia di quattro amici (un eterno studente, un maggiore dei bersaglieri, un pittore e una studentessa) che un giorno, per amore di avventura, rispondono ad un annuncio su un giornale cacciandosi in una situazione senza via d'uscita. E così, credendo semplicemente di giocare con l'ignoto, improvvisamente tutti e quattro si ritrovano in qualche modo coinvolti in un omicidio.
L'originalità del racconto sta nel fatto che ogni singolo protagonista di questa storia espone la propria versione dei fatti. Per cui, in definitiva, il lettore si troverà a leggere i quattro racconti degli amici, più quello del commissario di polizia che conduce le indagini sul delitto. Il primo racconto è quello di Giovanni Révere, rampollo della piccola borghesia che vive con una rendita che gli è stata lasciata dal padre, facendo lo studente a vita. Si è già preso due lauree (lettere e giurisprudenza) e ora studia medicina. è lui che ci introduce nel mondo della vecchia Roma, dei locali tipici e delle lunghe passeggiate nei quartieri antichi, presentandoci i suoi amici. La prima, cioè l'unica donna del gruppo, è Maud Terzi. Mangiano insieme, vanno al cinema insieme, passano intere giornate insieme, ma si danno del voi. Suo è il secondo racconto. Il terzo è quello del commissario Ascanio Bonichi. Grossi baffi neri, mento spesso non rasato, d'aspetto bonario e un po' trasandato, celibe e nemico dell'indagine scientifica ("Non credo che nel caso, o in Dio, se le piace di più"), Bonichi è uno dei personaggi più riusciti di Varaldo. E, da quell'italiano che è, afferma che "la polizia deve, 100 volte su 100 in casi come questi, contare sulla fortuna". Come dire che, se non si è fortunati, pazienza: vuol dire che il caso resterà irrisolto.
Il quarto racconto è invece quello di Biondo Biondi ("Naturalmente – scrive Varaldo – con un simil nome è toscano e nero come un creolo"), maggiore dei bersaglieri e soldato fino al midollo.
Il quinto racconto, infine, è quello del pittore Giacomo Serra, l'unico artista del gruppo. Confusionario, istintivo, Serra si completa nel suo rapporto con gli altri amici, anche se non manca di far sentire la sua presenza.
Seguire le vicissitudini di queste persone vuol dire calarsi nell'atmosfera a cavallo degli Anni Venti-Trenta in una Roma che vive spensieratamente lo sviluppo della prima stagione del fascismo, senza rendersi conto della tempesta che si sta preparando. E si prova l'esperienza di sedersi in una "piccola pulita famigliare trattoria dietro piazza Cola di Rienzo" e osservare la vita tranquilla e un po' borghese di questi quattro amici cui si aggiunge, dopo il delittaccio, anche quella sagoma del commissario Bonichi.
I rapporti tra i cinque sono sempre corretti, nessuno si sognerebbe mai di fare una qualunque carognata all'altro. Ed è su questi valori di amicizia e solidarietà, educazione e rispetto, forse appartenenti ad un'Italia che non c'è più, che l'avventura infine inciderà portando scompiglio nelle loro esistenze. Da leggere.

"Il sette bello" di Alessandro Varaldo, De Ferrari Editore, 2006, pp. 272, ISBN 8871727851, €16,00.

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