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Dalle Navi Bianche
alla Linea Gotica

La drammatica odissea di un giovane idealista
sopravvissuto alla guerra di Mussolini

di Rino Di Stefano

(RinoDiStefano.com, Pubblicato Mercoledì 28 Dicembre 2011)

Dalle Navi Bianche alla Linea Gotica (1941-1944)Tra il 1942 e il 1943 30mila civili italiani (donne, bambini, invalidi e anziani) vennero liberati dai campi di concentramento inglesi in Somalia, per essere rimpatriati nell’Italia in guerra. Nel corso di un anno e mezzo vennero effettuati tre viaggi, ognuno dei quali durava oltre tre mesi per coprire l’immensa distanza di 23mila miglia marine. Tra quegli esuli c’era anche Massimo Zamorani, allora quindicenne, che oggi racconta con la freschezza e il trasporto del ragazzo di un tempo, la sua odissea di quei tragici anni nel libro “Dalle Navi Bianche alla Linea Gotica (1941-1944)”, appena pubblicato da Mursia Editore. Zamorani è stato per vent’anni inviato del “Secolo XIX”, direttore del “Corriere Mercantile” e inviato speciale del “Giornale”. La prosa è diretta, chiara e precisa. Come dovrebbe sempre essere quella di ogni vero cronista. Le situazioni che vengono descritte in queste pagine, colpiscono il lettore come un pugno allo stomaco. Ma non per la loro crudezza o per una troppo colorita narrazione dei fatti. Bensì per la loro realtà di vita vissuta. La vita di un adolescente cresciuto in terra africana, ma col mito della madre patria, che un bel giorno si trova ad affrontare un destino che lo segnerà per sempre negli anni a venire.
La storia inizia quando la famiglia Zamorani (padre, madre e quattro figli) è costretta dall’esercito britannico a lasciare la propria casa di Addis Abeba e viene internata in un campo di concentramento. Da qui, grazie ad un accordo tra Italia e Inghilterra, nazioni in guerra tra loro, mamma e bambini vengono imbarcati sul Caio Duilio, uno dei quattro transatlantici della marina mercantile italiana impiegati per il trasferimento dei profughi sul territorio italiano. Il padre, mutilato della prima guerra mondiale, resterà invece nel campo di concentramento inglese.
Le altre navi erano la Saturnia, la Vulcania e la Giulio Cesare. Tutte erano dipinte di bianco con grosse croci rosse sui fianchi. Un timido tentativo per evitare che fossero colpite durante la lunga traversata verso le coste italiane. Massimo ha 15 anni compiuti. Dunque, secondo le disposizioni inglesi, dovrebbe restare nel campo di concentramento assieme al padre. Ma la mamma riesce a truccare i documenti d’identità e a portarlo con sé sulla nave. L’accoglienza a bordo, racconta l’autore, è molto buona. Ma il viaggio è lungo e non saranno pochi, tra adulti e bambini, coloro che non vedranno mai gli agognati porti italiani. La scena dei funerali, quando le salme vengono scaricate in mare di notte, per non turbare ulteriormente gli animi dei passeggeri, osservata di nascosto dal giovane Massimo e da altri ragazzi, resta impressa nella memoria.
Ma l’interminabile viaggio via mare, pur con i suoi drammatici risvolti, è soltanto l’inizio della storia. Come spiega con convinzione Zamorani, quei ragazzi erano stati cresciuti nel mito della patria lontana e consideravano quella guerra null’altro che un periodo difficile dal quale l’Italia sarebbe uscita vincitrice. D’altra parte, nessuno aveva mai detto loro che il Paese potesse essere governato da un regime diverso da quello fascista. Così come quei giovani consideravano la guerra un atto criminale contro l’Italia, senza neppure riflettere sul fatto che era stata l’Italia stessa a buttarsi in modo tanto sconsiderato in quello che sarebbe stato uno dei più disastrosi conflitti bellici della sua storia. Insomma, il giovane Zamorani si arruola nel battaglione autonomo di bersaglieri volontari “Goffredo Mameli”, figlio del prestigioso 8° reggimento di Verona. Ed è con l’elmetto piumato che inizia l’avventura militare nella Repubblica di Salò, lungo quel confine immaginario che gli storici poi chiameranno Linea Gotica. Il primo impatto con la realtà italiana il diciassettenne 1944. Due bersaglieri del battaglione «Mameli» sulla Linea Gotica: Massimo Zamorani, a sinistra, e Giorgio Tonacchera.Massimo lo ha nella fureria di Verona, dove i militari più anziani si divertono a vestire le reclute in modo grottesco, per poterle beffare. Come se la guerra fosse un gioco per mentecatti. La musica cambia quando i giovani vengono trasferiti a Forlì, nel cui magazzino vestiario i tedeschi li rivestono con “una precisione da commesso di un negozio di abbigliamento”.
E poi inizia la tragica realtà della guerra guerreggiata: estrarre il corpo senza vita di una ragazza dalle macerie di un bombardamento, due commilitoni condannati a morte per aver fornito armi ai partigiani, l’eroico sottotenente D’Antona che si rifiuta di comandare il plotone di esecuzione, i tre ragazzi che perdono le gambe per le bombe di mortaio che colpiscono il gruppo. Massimo cerca di aiutare uno di loro. Gli versa un po’ di vino in bocca, ma il liquido esce gorgogliando dalla gola squarciata da una scheggia. E il giovane, poco dopo, muore. C’è poi l’attacco delle “giberne bianche” dei polacchi: Zamorani non dimenticherà mai l’espressione truce e determinata del nemico che li attacca frontalmente, a così pochi metri di distanza.
Ferito, catturato e imprigionato, il giovane bersagliere finirà prima in un campo di concentramento ad Algeri e poi nel famigerato Campo S di Taranto, da dove nel 1946, a guerra finita, riuscirà a fuggire.
Oggi Massimo Zamorani è padre di tre figli e nonno di due splendidi nipoti. Ogni anno, il penultimo fine settimana di settembre, si reca a Valsalsa, presso Imola, al cippo di granito che ricorda i 71 bersaglieri della “Goffredo Mameli” che morirono combattendo per quella che fino all’ultimo chiamarono patria. La stessa patria, però, che oggi, “non riconosce loro neanche la qualifica di combattenti, come fossero morti a seguito di un infortunio, durante un’escursione o a causa di un incidente sull’autostrada”. Zamorani non tollera questo atteggiamento, ritenendolo un’offesa alla memoria di una generazione che, a ben vedere, ebbe solo il “grave torto” di nascere nel posto sbagliato e nel momento sbagliato.
Forse, la definizione più giusta per comprendere questo volume di memorie, si trova nelle parole di Mario Cervi, che ha firmato la prefazione del libro: “Quando gli affetti e i valori sono così solidi e duraturi, giù il cappello”.

“Dalle Navi Bianche alla Linea Gotica (1941-1944)” di Massimo Zamorani, Mursia Editore, 2011, pp. 217, ISBN 9788842543770, €16,00.

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