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LE CATASTROFICHE PREVISIONI DEL PROF. FLAVIO DOBRAN,
VULCANOLOGO DELLA NEW YORK UNIVERSITY

SSSTTT…
PER ORA DORME

C'è dell'attendibilità in quello che dice Dobran, la nostra Protezione Civile sa, i piani di evacuazione ogni tanto vengono modificati. Che fare dunque nell'eventualità di un risveglio? Beh, c'è sempre San Gennaro.

di Rino Di Stefano

(Lo Strillo, n° di Giugno/Luglio, Pubblicato Lunedì 1 Giugno 2015)

Il Vesuvio“Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna: nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riproporre la forma. Infatti, slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami”. E’ con queste parole che Plinio il Giovane descriveva all’amico Tacito ciò che il 24 agosto del 79 d.C. aveva visto con i propri occhi mentre si trovava a Miseno, piccolo centro campano, insieme alla propria famiglia. Era la fine di Pompei. Quell’enorme fungo, che oggi ci ricorda molto quello di un’esplosione nucleare, veniva originato dal Vesuvio che, improvvisamente, dopo secoli di silenzio, si era risvegliato in una delle più disastrose eruzioni di tutti i tempi. All’una del pomeriggio di quel tranquillo giorno agostano, un boato tremendo scaraventava in cielo, fino ad un’altezza di circa 26 chilometri, un mare di gas e magma che coprì un’area di centinaia di chilometri quadrati, seppellendo sotto oltre dieci metri di polveri infuocate i paesi di Herculaneu, Pompeii, Oplontis, Nuceria, Alfaterna e Stabiae. L’eruzione durò poco più di 25 ore, espellendo quasi un miliardo di metri cubi di materiale. Decine di migliaia di persone, colte alla sprovvista da quell’impetuoso e tragico cataclisma, perirono senza scampo. E di quelle città non se ne ebbe più neanche memoria fino a quando, tra il 1594 e il 1600, l’architetto Domenico Fontana scavò un cunicolo nei campi dove si trovava l’anfiteatro di Pompei e trovò alcune iscrizioni. Tuttavia, Fontana nemmeno sospettò della città che si trovava seppellita sotto i suoi piedi. E soltanto nel 1860, sotto la direzione di Giuseppe Fiorelli, si giunse infine a scoprire la realtà della tragedia di Pompei.
La distruzione di Pompei e dei centri vicini, comunità italiche che divennero colonie romane intorno all’80 a.C., fu uno dei disastri più importanti dell’antichità. Quando oggi passeggiamo tra i ruderi dell’antica città, ci rendiamo conto di come la furia della natura abbia devastato e cancellato una delle civiltà più progredite dell’impero romano, interrompendo nel giro di pochi secondi la vita di interi centri, cancellandone per sempre perfino il ricordo storico.
Il problema, tanto per venire ai nostri giorni, è che quanto è accaduto in quel torrido giorno di fine agosto si può ripetere anche oggi, in qualunque momento, con una devastazione ancora più disastrosa di quella che colpì Pompei ed Ercolano. Anzi, ad essere esatti, una nuova eruzione del Vesuvio non è che sia improbabile. Stando infatti a quanto sostengono i vulcanologi, è assolutamente certo che il Vesuvio tornerà ad eruttare, con tutta la sua letale potenza, anche se non si sa quando questo accadrà. Da qui l’avvertimento lanciato proprio in questi giorni dal vulcanologo americano Flavio Dobran, docente della New York University, il quale conferma che il Vesuvio Una foto dell'eruzione del Vesuvio nel 1944esploderà, devastando l’intero Golfo di Napoli in appena quindici minuti. “Il Vesuvio, che dorme dal 1944, esploderà con una potenza mai vista – afferma il professor Dobran – e in appena quattro minuti inghiottirà già 5 o 6 Comuni della zona rossa. Una colonna di gas, cenere e lapilli si innalzerà per duemila metri sopra il cratere. Valanghe di fuoco rotoleranno sui fianchi del vulcano alla velocità di 100 metri al secondo, con una temperatura di 1000 gradi centigradi, distruggendo l’intero paesaggio in un raggio di sette chilometri, spazzando via strade e case, bruciando alberi, asfissiando animali, uccidendo forse un milione di esseri umani in appena 15 minuti”.
Non si tratta, come si potrebbe essere indotti a credere, di una previsione apocalittica basata su un puro e semplice calcolo delle probabilità. Invece, ci troviamo di fronte ad una ipotesi documentata, frutto di studi seri e approfonditi che hanno la sola incognita della data in cui il disastro si verificherà.
“Questo, purtroppo, non possiamo prevederlo – ammette il professor Dobran – Certo non sarà tra due settimane, però sappiamo con certezza che il momento del grande botto arriverà”.
Per spiegare con maggiore precisione l’attendibilità del suo studio, il professor Dobran ha progettato un simulatore vulcanico globale, e cioè un modello informatico in grado di ricostruire le passate eruzioni dei vari vulcani, compresa quella del Vesuvio, per descrivere quanto potrebbe accadere in quelle del futuro.
“Il simulatore vulcanico globale – spiega il vulcanologo – dopo aver analizzato i dati, ha disegnato uno scenario infernale: appena 20 secondi dopo l’esplosione, il fungo di gas e ceneri incandescenti ha già raggiunto i 3mila metri d’altezza, da dove collassa lungo i fianchi del cono. Un minuto dopo, la valanga ardente si trova già a 2 chilometri dal cratere. In 3 minuti ha già raggiunto Ottaviano, Somma Vesuviana e Boscoreale. In quattro minuti sono spacciate Torre del Greco ed Ercolano. Sessanta secondi dopo è la volta di Torre Annunziata”.
Ci vuol ben poco a capire che lo studio del professor Dobran prevede la morte di centinaia di migliaia di persone, con la devastazione di quasi tutta la provincia di Napoli.
Ma c’è anche un’altra considerazione da fare. Non si creda che questo studio americano colga di sorpresa le autorità italiane. La Protezione Civile della Regione Campania da diversi anni è al corrente di un eventuale e improvviso, quanto disastroso risveglio, del Vesuvio. L’ultima eruzione registrata risale al 1944, quando dal 18 al 31 marzo un vistoso pennacchio di fumo e cenere fuoriusciva da quello che la gente chiamava “il Grande cono” del Vesuvio. Eravamo verso la fine della Seconda Guerra Mondiale e i napoletani avevano ben altro da pensare che al loro Vesuvio. Del resto, dopo quei 13 giorni, nessuno ci fece più caso. Nonostante questo, i vulcanologi hanno sempre informato le autorità italiane che il risveglio del Vesuvio non èUn dipinto raffigurante l'eruzione del Vesuvio nel 1807 improbabile, bensì assolutamente certo. Non si sa quando questo accadrà, appunto, ma succederà. E’ proprio per questo motivo che il Vesuvio è da sempre un sorvegliato speciale. Speciali sonde sismologiche controllano l’attività vulcanica sotterranea del “grande addormentato”, pronte a dare l’allarme nel caso di un’aumentata attività magmatica nelle viscere della terra. La Regione Campania da anni prova a regalare somme di denaro a chi volesse trasferirsi dalle vicinanze del Vesuvio ad altri siti più sicuri. In un certo senso, si tratta di bonus che dovrebbero permettere il ricollocamento di coloro che abitano troppo vicini al Vesuvio. Ma, a quanto pare, quasi nessuno ha voluto usufruire di questa opportunità. E così decine di migliaia di persone continuano a trascorrere la loro esistenza a un passo dal cratere del Vesuvio, confidando nella buona sorte e in San Gennaro.
Tornando a Pompei, sarebbe utile leggere la corrispondenza che Plinio il Giovane ebbe con Tacito per comprendere quanto terribile fu la devastazione di quel giorno di fine agosto. “La notte dell’eruzione – scrisse il letterato romano – le scosse crebbero talmente da far sembrare che ogni cosa si rovesciasse”. Inoltre, sembrava che “il mare si ripiegasse su se stesso, quasi respinto dal tremare della terra”, così che “la spiaggia s’era allargata e molti animali marini giacevano sulle sabbie rimaste a secco”. Ciò significa che, a fronte di un ritiro del mare, poi si sarebbe verificato uno tsunami con tutte le relative conseguenze.
Ma la tremenda fine delle popolazioni limitrofe al Vesuvio fu anche variegata dalle circostanze che si verificarono. Infatti, mentre Pompei e Stabia furono sommerse da una pioggia di cenere e lapilli, il piccolo centro di Ercolano venne investito circa dodici ore dopo da una tremenda mistura di gas infuocati, ceneri e vapore acqueo (il cosiddetto flusso piroclastico) che incenerì in pochi attimi uomini e cose. Pare che i più fortunati fossero quelli che si trovavano all’aperto: investiti dalla nube ardente, vennero vaporizzati all’istante. Stessa sorte, ma più lenta e crudele, ebbero invece coloro che si erano nascosti, sperando di sfuggire al cataclisma.
Ebbene, è un fatto che tutto questo possa ripetersi nei tempi moderni. E sappiamo, per esperienza diretta e consolidata, che, se questo accadesse, non ci sarebbe il tempo materiale per alcun tipo di soccorsi. L’unica soluzione, quindi, resta quella della The Last Day of Pompeii, dipinto di Karl Pavlovič Brjullov del 1830-1833 (Fonte: Wikipedia)prevenzione: andarsene prima che accada l’inevitabile. Qualcuno, fatalista, dirà che per intere generazioni non è accaduto nulla e niente dimostra che un’eventuale e fatale eruzione possa verificarsi proprio in questi anni.
Queste considerazioni non tengono conto del fatto che il Vesuvio, di fatto, non ha mai smesso la propria attività interna. Nel 472, per esempio, scagliò nell’atmosfera dei cieli europei una tale quantità di ceneri da suscitare un serio allarme anche a Costantinopoli. Nel 1036 si registrò un’eruzione con fuoriuscita di lava. Secondo le cronache dell’epoca, il magma arrivò fino al mare allungando la linea costiera di circa 600 metri. A questa eruzione ne seguirono altre cinque, una sola delle quali venne ricordata da uno storico nel 1500. Dopo quest’ultimo fenomeno, il Vesuvio restò a riposo per 130 anni, assistendo alla nascita di nuovi vigneti lungo la montagna. E tutto questo andò avanti fino al 1944. Intere generazioni, dunque, non hanno visto né provato la violenza del Vesuvio. Adesso se ne riparla. La voce del professor Dobran verrà ascoltata, oppure passerà nel dimenticatoio come tante altre? Purtroppo, tutto lascia pensare che ci sia una forte probabilità che la seconda di queste soluzioni sarà quella più probabile.

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