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524 anni fa la scoperta dell’America apriva un nuovo mondo

Una pergamena del ’400 rivela:
“Colombo è nato ad Arenzano”

In un libro del 1895 l’incredibile ritrovamento di uno scrittore tedesco
in vacanza nella villa dei Pallavicino sulle colline del Ponente ligure

di Rino Di Stefano

(RinoDiStefano.com, pubblicato Mercoledì 12 Ottobre 2016)

La copertina del libro di Joseph Calce

Cristoforo Colombo sarebbe nato ad Arenzano, la prima cittadina rivierasca a Ponente di Genova, il 14 Aprile 1451 con un parto gemellare. Insieme a lui  sarebbe venuta alla luce la sorella Francisca. A quel tempo i genitori dei gemelli sarebbero stati vassalli dei Pallavicino, nobile e potente famiglia dell’aristocrazia ligure, molto legata ai reali di Spagna. E fu proprio grazie all’aiuto e alle raccomandazioni dei Pallavicino, che colui che diventerà il Grande Navigatore ebbe accesso alla Corte di Madrid e nel 1492 scoprì il continente americano.
Il condizionale, ovviamente, è d’obbligo. Ma è proprio questa la versione storica che ci viene raccontata nel libro “Dove è nato Cristoforo Colombo?” – Una scoperta ad Arenzano ligure del dottore Joseph Calce, pubblicata a Ferrara nel 1895 presso la Tipografia Operai Compositori.
A riscoprire il libro di Calce, uno scrittore tedesco in vacanza in Liguria, già noto ad alcuni studiosi di Colombo, ma volutamente ignorato, è stato Lorenzo Giacchero, storico del Ponente La copertina del libro "Angeli e Custodi" di Lorenzo GiaccheroLigure e membro dell’Associazione HASTArenzano, che lo ha citato nel suo libro “Angeli & Custodi”, Arenzano e l’eredità templare, del 2011. Giacchero ha trovato l’originale del libro di Calce presso la Biblioteca Berio di Genova e ne ha fatto fare una copia che conserva in una bacheca nel piccolo, ma prezioso, museo marinaro che la sua Associazione ha realizzato presso il Santuario delle Olivette, ad Arenzano.
A onor del vero, però, l’opera di Calce è anche menzionata nel volume “Christopher Columbus Collection of the Library of Congress”, curato da Everette E. Larson per la University Pubblications of America, a Bethesda, MD, nel 1991.
Ma che cosa c’è scritto in quel libro? E perché gli studiosi di Cristoforo Colombo non lo hanno tenuto in considerazione? La storia è talmente bella e curiosa che vale davvero la pena di essere raccontata.
La scoperta avvenne in una calda notte estiva di fine Ottocento, a causa di un movimentato sogno erotico. In quel periodo il dottor Calce alloggiava in una villa arroccata sulle colline di Arenzano. Era ospite di un  signorotto locale, suo buon amico, e stava passando le vacanze estive godendosi il soleggiato mare della Liguria e la compagnia di belle e disponibili ragazze. Il giovane, perché tale era, dormiva in una camera del primo piano su un “letto enorme di ferro battuto e cesellato da un artista del Rinascimento”.  Sognava di essere su un piroscafo con “una vergine ispano-americana” che gli portava in dote “la sua bocca profumata e una piantagione di caffè”. Nell’istante in cui le dichiarava il suo amore, e si apprestava a baciarla, all’improvviso spunta dal nulla “un caballero minaccioso” che cercava di accoltellarlo con la sua “navaja”. Lo scrittore teutonico, allora, pensò bene di svignarsela, prima di finire sgozzato da quell’incazzoso latino. E agitandosi nel letto, alzando il braccio per difendersi dagli immaginari fendenti, colpì inavvertitamente il quadro che si trovava appeso al muro, poco sopra il letto: “Una Madonna col bambino, bellissima opera del Guercino”. A quel punto si svegliò del tutto e la prima cosa che notò fu, dietro al quadro, un vistoso buco.  
“Il tratto di muro occupato dal quadro, che si trovava fissato da lunghissimo tempo alla parete, era di forma concava e, dopo caduto il dipinto, esalava un tanfo di putredine, di muffa e di ragnatele – racconta Calce – Pareva che levati gli ostacoli, vi dovesse essere, nel muro, una larga scanalatura. Difatti, era così; frugai dentro, e le mie dita si raggrinzarono sopra una vecchia pergamena del Quattrocento, serrata da un cordone di La copertina del libro americano che parla di Joseph Calcecuoio rosso. La svolsi con precauzione e ne ammirai la nitidezza dei caratteri latini. Mentre la leggevo e decifravo, un'immensa meraviglia, mista a incredulità, cominciava a invadermi. Il testo era breve, ma energico. Conteneva un atto di donazione inter vivos di un antenato del mio amico ad una donna. Chi era dessa? Me lo apprese il latino ingenovesato del lascito. Nientemeno che Francisca Culumbus, soror nautae praeclari, nata in una casupola attinente la villa, lo stesso anno e il medesimo giorno e l'identica ora del 15 Aprile 1451 del fratello Cristoforo, in partu bigeminu. Il donatario concedeva alla beneficata un terreno e una vigna sulla collina, dove era nata, dal che si poteva indurre che, mentre Colombo impetrava navi all'intera Europa, la sorella, progenie come Colombo di vassalli del feudatario, era rimasta ai suoi servizi, e ne era divenuta la favorita, dividendone probabilmente il letto e la mensa. Potrei citare qui tutte le frasi del manoscritto redatte in latino della decadenza; ve ne sono delle curiose. Di nomi propri vi ha solo quello del nobile donatario, della sorella gemella di Colombo, di un testimonio all'atto legale e d'un figlio dello stesso, probabilmente gli uomini d'affari del vecchio nobile. Parrà superfluo che io dica quanti e quali ricerche io abbia fatto dopo tale fortuito rinvenimento. Andai agli archivi di Savona, di Voltri, di Cogoleto, di Genova, tutte presunte patrie di Colombo. A Cogoleto, solo, trovai un documento del sedicesimo secolo, che fa sulla famiglia Colombo una induzione basata sul fatto che, alla seconda partenza di Colombo per l'America, una sua sorella gemella l'aveva accompagnato fino al luogo dell'imbarco.
Mi pare che ciò basti per dare ogni maggior verosimiglianza ed appoggio alla realtà della scoperta. Dopo la quale ho pur ripetuto le ricerche, a ciò autorizzato dal mio nobile amico, in tutti i buchi della villa; ma non vi trovai altro che una moneta d'oro spagnuolo coll'effigie di Isabella la Cattolica che riceve i doni del nuovo mondo. Nella famosa scanalatura del muro non vi erano più che ragnatele. Le ricerche nella campagna non diedero alcun risultato, e mi restrinsi alla pergamena. Della cui autenticità e serietà non vi ha ormai per me La spiaggia di Arenzano nel 1890alcun ragionevole dubbio, dopo quanto me ne scrisse un dotto paleografo di Milano, che l'esaminò per ogni verso e che mi conforta vivamente a farla litografare e renderla di pubblico dominio”.
Secondo le scoperte di Paolo Emilio Taviani, che tra le altre cose era anche il maggiore studioso di Cristoforo Colombo nel mondo, i fratelli del  Grande Navigatore erano quattro: Bartolomeo, Giacomo, Giovanni Pellegrino e Bianchinetta. Di quest’ultima unica sorella si sa soltanto che sarebbe nata prima del 1489 e si sarebbe sposata con un certo Giacomo Bavarello, di professione formaggiaio. Non si fa dunque alcuna menzione di una sorella gemella. Risulta, invece, che Cristoforo Colombo fosse nato nel 1451, anche se non si conoscono il mese e il giorno.
Veniamo, però, alla scoperta di Joseph Calce e alle sue successive ricerche per verificare l’autenticità della pergamena. Secondo il suo racconto, egli si recò presso “un dotto paleografo di Milano”. Ebbene a quel tempo esisteva davvero una persona con queste caratteristiche ed era Adriano Cappelli, nato a Modena l’8 Giugno 1859, che nel 1884 entrò come “alunno di prima categoria” all’Archivio di Stato di Milano, allora diretto da Cesare Cantù, dove si interessò “in particolare alla paleografia e alla diplomatica, raggiungendo una grande competenza storica”. Il “Dizionario di Abbreviature latine ed italiane” di Adriano Cappelli (pubblicato per la prima volta nel 1899) è in uso ancora oggi e viene pubblicato dalla Ulrico Hoepli di Milano.
Il paleografo invitò quindi Calce a pubblicare questa scoperta, rendendo pubblico il contenuto della pergamena. Ma lo studioso tedesco non aveva tenuto conto della tradizionale riservatezza La Villa dei Pallavicini, dove sarebbe stato ospite Calce, in una cartolina d'epocadei genovesi. Il suo amico e generoso ospite, infatti, non era di quel parere. Anche perché, se si fosse conosciuta la verità sui natali di Colombo, si sarebbe anche saputo della sorella gemella, concubina del suo avo, e di quanto la sua famiglia aveva brigato per aiutare il Grande Navigatore. In altre parole, sarebbe stato come mettere in piazza gli affari privati della nobile dinastia.
“A questa proposta non posso accedere completamente – scrive Calce nel suo libro – perché il nobile mio amico avrebbe una grave ripugnanza a far correre il suo nome illustre sulle bocche del volgo, mescolato a quello di un grandissimo, di cui per tanto tempo le tenebre sole seppero, come per Shakespeare, l’esatta verità dei natali. Ed ora io mi trovo in bel imbarazzo. Potrei, omettendo il nome del donatario, risuscitare le querele, e portar finalmente la luce sul luogo di nascita e la famiglia di Colombo, così a lungo e vanamente ricercate. Sì, lo posso, e non sarei alieno dal pubblicare parte dell’originale o della traduzione, o un facsimile fotografico, parziale rispetto ai nomi, del manoscritto antico: ma il mio amico cacciatore è di avviso contrario. Questo genere di pubblicazioni, egli afferma, è piuttosto puerile. Un grand’uomo, secondo lui, è figlio non solo della sua terra, ma ben più dei suoi autoimpulsi psichico-elettivi, della sua vita e lotta interna ed esterna contro gli uomini e la natura”.
E, per rendere l’idea di quanto sostiene, porta l’esempio di un altro grande, Napoleone Bonaparte. “Se è vero che visitando, ad esempio, la Corsica, si trova una spiegazione fisio-climatologica in cui ha agito al mondo il più grande genio devastatore che vi sia mai stato, voglio dire Napoleone, poiché, osservando i burroni, i graniti, le punte minacciose flagellate dal mare della Corsica, si capisce che quell’aria impregnata di nere esalazioni saline, da quelle rocce vulcaniche, da quelle foreste orgogliose, da quei monti dirupati, le cui acque travolgono i carbonati e i fosfati di ferro, doveva poter sorgere una creatura umana che avesse un corpo di acciaio, una massa cerebrale più attiva e penetrante della folgore, tutta una tempra analoga agli uccelli di rapina ed ai macigni di quella terra; se è vero, diciamo, tutto questo, bisogna pur ammettere che vi sono tanti altri elementi fisiogenici, nella produzione di quella rarissima e preziosa macchina umana, che racchiude il genio, da lasciar adito a diminuire alquanto l'innegabile importanza del luogo natale”.
Dopo aver dottamente disquisito su quanto l’ambiente possa influire sul carattere e la formazione degli Donne in strada ad Arenzano subito dopo il terremoto nel 1887esseri umani, Napoleone docet, Joseph Calce si fa prendere dagli scrupoli: pubblicare o non pubblicare la sua scoperta?
“Le riflessioni del mio interlocutore, che dopo aver dominato uomini e cose ha diritto di giudicare su questione così delicata – scrive – mi scossero non poco, e quasi mi dissuasero dal rendere pubbliche in parte le mie fortunate esumazioni. Devo, o non devo, insomma riaccendere la gran lite dopo tanta insperata scoperta? Per ora, mi limito a darne notizia al novero ristretto dei miei amici, con questo scritto, al quale ho fatto seguire alcuni scritti poetici suscitati nell'umile scrivente dal rincorrersi tumultuoso di mille pensieri, ad alcuni dei quali soltanto ho cercato di dare una veste decorosa. Forse parrà strana questa ruminazione poetica, derivata dall'aver trovato per via così bizzarra una pergamena che contiene i nomi e le date di nascita di Cristophoro et Francisca Columbo; parrà forse cosa anormale che i pensieri svolti nei sonetti che seguono abbiano poco a che fare col fatto per me e per altri ora acquisito, cioè che Colombo è nato sopra Arenzano, che vide la luce insieme a una creatura che abbandonò solo un giorno il suo luogo natio e fu beneficata dal suo protettore”.
Da tutte queste riflessioni, che invero sembrerebbero rendere ancora più veritiero il suo scritto, Calce giunge alla conclusione che il suo problema ha a che fare con un grosso, insormontabile ostacolo: il carattere degli italiani. Ed ecco a quali conclusioni giunge: “Questo modo di digerire e di eruttare poi in forma letteraria un documento, il quale col tempo non dubito che divenga storico, sembrerà originale quando non si rifletta che esso mi ha ricondotto una volta di più ad una triste constatazione a me abituale. Ed è questa: la conferma delle grandi colpe, dei grandi errori italiani. L'aver essi avuto degli esempi di energia e di Pierino Negrotto Cambiasoespansione oltre marina ed oceanica degli avi, aver posseduto dei precursori scopritori e colonizzatori, prima di ogni altro popolo, non li ha per nulla distolti dall'accidia e dall'ignoranza dei suoi veri interessi. Bisogna dirlo: la poltroneria secolare non può avere, per seguito, che secolari sventure. L'Italia paga ora, a prezzo di sangue, il delitto morale di essere stata per più di tre secoli la terra dei morti, per ciò che riguarda il suo parziale trapiantamento nell'immenso continente americano, conquista dei suoi figli. Tale colpa, tale imbecillità impotente non ha scuse, e l'espiazione economica attuale italiana è dura, ma giusta. Noi osserviamo, nella nazione italiana, come è oggi costituita, la stessa fatale indolenza del passato, benché più spiegabile dal momento che tutto è stato preso dagli altri più accorti e più solleciti. Ma anche dal '61 in poi, ha essa forse un pollice di terra dove sventoli il tricolore italiano, dal Capo Horn al promontorio di Cabello, per parlare solo del continente sud-americano, che era facile appropriarsi, almeno in parte? Essa lascia tuttora milioni dei suoi figli in preda agli arbitri di gente feroce e volgare, abbandonati in quelle terre lontane; l'Africa le basta. La storia non insegna nulla, e non giova a correggere le sciocchezze umane. Come le follie europee di Napoleone condussero la Francia alla perdita del Canadà, dell'isola Maurizio, e di parte della Gujana, così l'insipienza dei pretesi Macchiavelli italiani ha condotto la madre spirituale dei colonizzatori americani alla privazione d'ogni ingerenza in quelle immense fonti di vita prosperosa. Noi vediamo, in Italia, dei contrasti che affliggono. Da un lato, sopra un vertice dei più alti, dei mostri di sapere, di erudizione, ed anche di ingegno. Da un altro, in un abisso senza fondo le plebi, che sono oggi ciò che erano nell'Evo medio. La gran massa del popolo italiano ha i centri nervosi inattivi e torpidi. Non v'è il bisogno di leggere, tanto imperioso per altre plebi europee, come la francese. Non v'è stimolo di sapere, di erigersi ad una forza superiore intellettuale; vi è la vigliacca acquiescenza alla vita vegetativa del bruto. Perciò, trattandosi di un popolo ammalato, triste e infausta La copertina del manuale Adriano Cappelline è la prognosi. La vittoria futura sarà per i popoli i cui componenti abbiano i gangli del sistema nervoso in continua ebullizione di lavoro inventivo, per le genti che avranno fra loro non qualche ingegno ma un nucleo compatto di cervelli in stato di capire e agire, secondo le necessità delle società moderne. Ma basti di ciò. La digressione diverrebbe troppo lunga”.
Il dottor Calce conclude la sua filippica (tutta tedesca) contro i mali italiani avvertendo che, per quanto non pubblicherà il testo della sua pergamena per non dispiacere al suo amico, ha comunque provveduto ad ufficializzare il documento.
“Avverto, per finire, che ho fatto autenticare presso un regio notaio di Genova il famoso manoscritto, il cui rinvenimento ha fatto palpitare il cuore di alcuni Arenzanesi, non già perché ne capiscano qualche cosa, ma per astio contro quelli di Cogoleto. Del resto la mia scoperta forma, da qualche settimana, l'oggetto di vivaci discussioni fra i frequentatori della farmacia e del caffè, abituali ritrovi della società di Arenzano ligure. Esulta, dunque, avvilito popolo italiano! Riempiti il ventre affamato colla gran notizia che si sa ormai dove è nato Colombo”.
A parte gli apprezzamenti verso i liguri e Arenzano in particolare (“Arenzano ligure è una grossa ridentissima borgata che non ha la ventura di possedere cittadini e amministratori troppo zelanti del suo progresso. Non si vuol far fruire né di acqua potabile, né di alcuna illuminazione serale questa povera e bella Cenerentola. Il capo-comune è molto facoltoso, ma, come tutti i liguri, più avaro che ricco. Del resto nella Liguria abbondano i sindaci analfabeti, e sarebbe troppo pretendere che l'ignota terra di Arenzano avesse un uomo colto ed energico alla testa dei suoi affari”), adesso resta da verificare quanto ci sia di vero nella presunta scoperta di Calce.
Tanto per cominciare, di lui non esiste traccia. Si sa soltanto che era uno scrittore tedesco che parlava e scriveva in italiano, ha pubblicato sette libri (l’ottavo lo aveva in preparazione quando ha pubblicato il libro su Colombo), e se ne sarebbe tornato in patria dopo quest’ultima rivelazione sui natali di Colombo.
Un po’ più difficile risulta fornire un’identità al signorotto amico e munifico ospite di Calce. Una ricerca sulla famiglia Pallavicino, farebbe pensare che il personaggio che più si presterebbe alle caratteristiche descritte dallo scrittore tedesco, sia Pierino Negrotto Cambiaso. Figlio di Lazzaro Negrotto Cambiaso, sindaco di Genova dal 1876 al 1877 e  senatore del regno d’Italia, e di Maria Teresa Pallavicino, all’epoca dei fatti Pierino aveva 28 anni e una laurea in giurisprudenza ottenuta Lo stemma nobiliare di Cristoforo Colombopresso l’Università di Genova. Tra il 1895 e il 1896, cioè dopo la pubblicazione del libro, Pierino Negrotto Cambiaso svolse il servizio militare come ufficiale di cavalleria e partecipò alla guerra italo-abissina, guadagnandosi una medaglia di bronzo al valor militare. Tornato alla vita civile, si diede al ramo industriale e dal 1905 al 1911 ricoprì la carica di sindaco di Arenzano. In seguito divenne anche deputato e poi senatore. Morì a Roma il 2 febbraio del 1925, dopo una brevissima malattia. Dal momento che tutti sapevano quanto gli piacesse il gentil sesso, e le innumerevoli avventure del suo periodo giovanile, in effetti potrebbe essere proprio lui l’amico di Calce.
Pare invece accertata l’esistenza della villa chiamata “La Torre”, una delle residenze del casato, ottenuta sopraelevando l’antica torre di Capo Panaggi. Si sapeva che al suo interno vi fossero opere pregevoli di autori come Tiziano, Procaccini e Cambiaso, oltre al Guercino.
Se è difficile fornire un’identità precisa ai protagonisti più recenti di questa storia, diventa quasi impossibile precisare chi fosse l’amante e il benefattore di Francisca Columbo, intorno al 1500. Aiutandoci con il volume “Gli Archivi Pallavicini di Genova” (il cognome della famiglia si legge tanto al singolare quanto al plurale), depositati presso la sede della Società Ligure di Storia Patria, al Palazzo Ducale di Genova, possiamo ipotizzare che questo personaggio potrebbe essere Damiano Pallavicini, forse console della Repubblica di Genova ad Anversa nel 1517, senatore nel 1538. Di lui, però, non si sa quasi nulla.
C’è un ultimo aspetto  che vale la pena di approfondire. Nel suo libro, Calce sostiene di aver fatto “autenticare presso un regio notaio di Genova il famoso manoscritto”. Ma che cosa significa “autenticare” un documento antico?
“Esaminando la vicenda dal punto di vista 'notarile' – osserva il notaio Carlo Carosi – posso soltanto ricordare che quel mio lontano collega, non essendo un esperto paleografo, non avrebbe mai potuto dichiarare che quella pergamena era 'autentica'. Il notaio, nel migliore dei casi, avrebbe potuto 'autenticare' soltanto la firma di un eventuale esperto che avesse rilasciato una dichiarazione di tal fatta. Anche per le tele d'autore, ad esempio, il notaio fa apporre (sul retro della tela) una dichiarazione da parte dell'autore stesso o di un esperto circa l'autenticità del dipinto e poi ne 'autentica' la sottoscrizione (in parole povere, il notaio attesta che quella dichiarazione è stata firmata in sua presenza da parte dell'autore o dell'esperto, senza assumere peraltro responsabilità alcuna circa la 'veridicità' del contenuto della dichiarazione stessa). Il fatto che una determinata pergamena sia stata redatta con certezza in una data epoca non equivale ad affermarne la 'veridicità', ossia non dà alcuna certezza che il suo contenuto corrisponda alla verità (non si può escludere che sia un 'falso' non già in senso materiale ma che lo sia in senso 'ideologico'). Dato come un fatto Un'antica stampa raffigurante Cristoforo Colombosicuro che alla fine del '400 qualcuno abbia compilato quel documento, ciò non equivale ad affermare che il suo contenuto corrisponda alla verità. D'altra parte anche la dichiarazione dell'esperto paleografo non può che limitarsi  ad attestare la datazione del documento. Altra cosa è garantire la 'attendibilità' del suo contenuto. La storia medievale, ad esempio, è ricca di questo genere di documenti, mediante i quali taluno si 'fabbricava' le prove di alcuni privilegi, concessioni feudali, investiture eccetera”.
In altre parole, anche se Calce avesse detto il vero e si fosse realmente recato presso un notaio, non avrebbe mai potuto far autenticare quel documento. Ma c’è un’altra cosa da dire. Oggi come ieri, i notai compilano i loro atti ufficiali in tre copie: due per le parti in causa, una per il loro archivio. Ciò significa che, se si conoscesse il nome del notaio che avrebbe redatto la donazione inter vivos a Francisca Columbo, si potrebbe anche recuperare la copia mancante della famosa pergamena. Quell’antico documento, infatti, sarebbe ancora conservato presso l’Archivio di Stato di Genova da oltre cinquecento anni. La ricerca non sarebbe affatto impossibile. Presso l’Archivio, specificano gli stessi conservatori,  si trovano anche atti notarili risalenti all’anno Mille. Dunque, se soltanto ci fosse quel piccolo colpo di fortuna di trovare il notaio giusto, Cristoforo Colombo potrebbe avere finalmente un luogo certo cui attribuire la sua nascita. Certo è che, se le cose fossero come Calce le dipinge, si capirebbe anche perché Colombo non abbia mai voluto rivelare i dettagli sulla sua nascita. A parte le origini popolari (che non ha mai nascosto) non sarebbe stato poi tanto elegante ammettere che la sua fortuna in Spagna era dovuta all’amante della sorella. Tra l’altro i Pallavicini erano anche Grandi di Spagna e un ramo della loro famiglia arrivò a costituire una discendenza spagnola, che si chiamò Palabesin. Dal momento poi che la zona dove sarebbero nati Cristoforo e Francisca si trovava al confine tra Arenzano e Cogoleto, si spiegherebbe anche la leggenda che vuole il Grande Navigatore nativo di Cogoleto. Insomma, gli interrogativi restano. Ma non c’è dubbio che la storia di Joseph Calce sarebbe davvero la spiegazione più semplice e razionale per comprendere le ritrosie di uno dei più grandi uomini che l’Italia ha dato al mondo.

Alcune delle foto d'epoca sono state tratte dai libri:

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