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Andrea Doria:
un naufragio pieno di mistero

(Corriere Mercantile, Pubblicato Martedì 4 Novembre 1980)

FIVIZZANO (MS)
Dal nostro inviato
Rino Di Stefano

L'Andrea Doria in navigazione25 luglio 1956, ore 23,10, Oceano Atlantico nei pressi dell'isola di Nantucket, zona di mare a 180 miglia dalla costa americana. Italo Jacy Rainato, 52 anni, fotografo di bordo della Turbonave Andrea Doria, ammiraglia della flotta passeggeri italiana, è nel suo laboratorio intento a sviluppare i rullini delle foto che ha scattato qualche minuto prima nel salone della nave. Accanto a lui c'è l'aiutante Enrico, un giovane al suo primo viaggio per mare. Devono sbrigarsi perché prima di mezzanotte devono fare la consegna delle stampe.
Improvvisamente, gli acidi di una bacinella saltano fuori. La piccola cabina ha un lungo tremito. I due si guardano spaventati. Il mare è calmissimo. C'è dunque una sola spiegazione: la nave ha urtato, o è stata urtata, da qualcosa.
Immediatamente salgono le scale che vanno ai ponti superiori e cercano di raggiungere la coperta. A metà corridoio vedono una scena allucinante: una donna e i suoi tre bambini, bagnati e sporchi di nafta dalla testa ai piedi, vengono verso di loro gridando. Sono terrorizzati. "Dio mio, è terribile - dice la donna - la nave affonda, siamo perduti…".
Oggi, Rainato ha 76 anni. Vive a Fivizzano, un paesino dell'appennino toscano, dove con la moglie e il figlio si è trasferito per trascorrere in santa pace gli anni della sua vecchiaia. In lui il ricordo dell'Andrea Doria e di quei terribili momenti è ancora vivo.
L'Andrea Doria sdraiata su un fianco"Dimenticare è impossibile - afferma mostrando un quotidiano - Chiunque abbia vissuto quell'esperienza ce l'ha impressa nella memoria. E poi, anche se volesse dimenticarla ci pensano i giornali a farla rammentare continuamente. Su questo naufragio sono state fatte troppe speculazioni. Adesso ci si sono messi anche gli svedesi. La nave era mal costruita? Io non sono certo in grado dì esprimere un parere tecnico, ma vorrei vedere quale nave può rimanere a galla con uno squarcio laterale di cinque metri di larghezza e oltre dieci dì profondità".
Rainato, oltre ad essere stato testimone oculare e partecipe della tragedia che ha distrutto la più bella nave italiana dell'epoca, è anche attendibile in quanto, come fotografo non era dipendente della Società Italia, a cui l'Andrea Doria apparteneva. Infatti l'Italia ora si trova al centro delle polemiche perché accusata dal libro svedese di aver fatto intervenire alcuni suoi tecnici incompetenti nella costruzione del bastimento, avvenuta presso i cantieri Ansaldo.
Ovviamente, la società ha smentito e ha accusato l'editore del libro di volersi fare un po' di pubblicità gratuita a sue spese; ma il tarlo del dubbio, maiL'Andrea Doria poco primna dell'affondamento risolto fin da quella notte del '56, attira sempre l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale. Ne è una prova il fatto che la recensione del libro è apparsa addirittura sulla prima pagina del New York Times.
"Quello che non bisognerebbe dimenticare è il dramma umano di quel naufragio - sottolinea Rainato - lo ho viaggiato sulle navi per 23 anni e non ho mai vissuto una esperienza come quella. Ricordo che quella notte c'era tanta nebbia che non si vedeva a più di due metri - racconta - Nella confusione di quei momenti accaddero episodi strazianti. Un medico ha assistito fino all'ultimo la moglie straziata dalle lamiere di una delle cabine distrutte dalla prua della Stockholm, la nave svedese che speronò l'Andrea Doria. Quando la moglie è morta lui non voleva abbandonare la nave. Ma anche la paura ha fatto le sue vittime. Un padre ha buttato la figlioletta verso gli occupanti di una scialuppa di salvataggio. Inutilmente quelli gli hanno gridato di non farlo e di salire nella prossima che sarebbe stata calata in mare. La bimba ha sbattuto la testa contro il bordo della barca ed è scomparsa in mare. Una brutta avventura ha vissuto anche una ragazza, una spagnola che si chiamava Linda Morgan. L'indomani mattina è stata trovata ancora viva nella prua squarciata della Stockholm. Al momento dell'impatto la ragazza dormiva nella sua cabina sull'Andrea Doria. Insomma, se non altro per rispetto di quelle 52 persone che morirono nel naufragio, non si dovrebbe continuare a speculare sull'argomento».

 

IN UNA LETTERA LA CONFERMA:
"TUTTI FECERO IL PROPRIO DOVERE"

La disperazione dei naufraghiRainato fu accusato di non aver scattato neppure una foto del naufragio. Spiegò che in quei frangenti non c'era il tempo di metter mano alla macchina fotografica. Molti non gli credettero e pensarono che lui avesse venduto le foto a chissà quale giornale. In effetti le cose andarono ben diversamente. Una testimonianza viva di quel giorno è nella lettera che Rainato mandò alla moglie.
Prima le inviò un telegramma ("Sono salvo, sereno, ba cioni Italo"), poi, dall'hotel Governor Clinton di New York, dove aveva preso alloggio, le scrisse un lungo sfogo. La data è del 27 luglio 1956, la mattina dopo il naufragio dell'Andrea Doria.
Scriveva Rainato: "Ho ripreso a fumare! Stamane un giornalista del Daily News mi ha svegliato bussando e nel destarmi mi sono accorto che piangevo. Mi ha sorpreso così e mi ha chiesto le fotografie che avevo fatto nel disastro. Era un po' che mi cercava. Io sono entrato in camera stamane alle due. Incontrandomi col capo - commissario, signor Ingianni, al pomeriggio nel ristorante, ci siamo abbracciati e baciati. Mi ha detto: 'Rainato, mi hanno chiesto le fotografie che lei ha fatto, io ho risposto che lei aveva altro da fare e che fotografie non ne ha'.
I naufraghi dell'Andrea DoriaHo fatto sedere il visitatore e parlandogli in inglese ho chiesto di scusarmi se mi sorprendeva così. Non ho fotografie, gli ho risposto. Non credo che se ne possano fare in quei momenti. lo sono il fotografo di. bordo, non ho però dimenticato che ero, prima di tutto, un marinaio come gli altri.
C'erano molte vite da salvare. Nessuno crede ciò che l'equipaggio dell'Andrea Doria ha fatto e, questo, è terribile. I suoi occhi hanno schivato per un momento i miei. Mi aveva offerto denaro ('Noi le paghiamo benè, mi aveva detto). Ha balbettato qualche parola di scusa poi si è alzato, mi ha salutato cortesemente.
La stampa non è stata onesta con noi. Una novantina di passeggeri inqualificabili hanno presentato, lo appresi ieri sera all'arrivo, una protesta per il pessimo comportamento dell'equipaggio! I giornali hanno sfruttato quest'atto di ingratitudine e spudorata menzogna. Si aspettavano le fotografie…Enrico è stato con me sempre. Come me anche lui ha voluto rimanere nella lancia volontariamente per la spola ed ha vogato finché, fiaccato dal vomito, è stato costretto a mettersi da una parte. Siamo stati fra gli ultimi ad imbarcarsi sulla stessa lancia, ma non assieme. Io l'ho raggiunto quando un bravissimo allievo di coperta, Pirelli, mi ha gridato da giù, cosa aspettavo per imbarcarmi. Erano le tre e un quarto. Ci siamo messi subito alla voga e con un carico completo abbiamo tatto rotta verso l'«Ile de France» scaricando tutti, compreso il capo
- commissario Ingianni, che voleva ad ogni costo rimanere. Sono rimasti i volontari e ci siamo portati di nuovo sotto la falla dell'Andrea Doria che era profonda circa 4 - 5 metri, sotto il ponte di comando. è sceso ancora qualche membro dell'equipaggio e l'ultimo passeggero, un signore di prima classe che non voleva imbarcarsi perché aveva la moglie morta a bordo.
Dal ponte di comando il comandante in seconda Magnanini ha impartito degli ordini a Pirelli, che governava la lancia, e ci siamo recati a poppa. Il telefono era interrotto e gli ordini ormai si potevano impartire solo a voce.
Una mamma e il suo bambino tra i naufraghiDovevano rimanere a poppa ancora soltanto gli addetti alla dinamo d'emergenza. Gli altri pochi dovevano portarsi alla buscagina più prossima per scendere sulla lancia che attendeva vicino a noi.
E così fu fatto. Riportatici sotto bordo del ponte di comando, abbiamo atteso altri ordini. Ormai i pochi rimasti li vedevamo bene: si erano seduti sui gradini di una scaletta e fumavano. Pensavano che se il comandante era ancora a bordo potevano starci anche loro, Il comandante in seconda Magnanini evidentemente poi li ha fatti imbarcare.
Lui stesso lo abbiamo visto avvicinarsi alla buscagina seguito dal comandante Calamai. Calamai aveva la divisa bleu col basco in testa. Magnanini in pigiama.
Magnanini ha scavalcato la balaustra e si è fermato ai primi gradini della scala a corda ed ha guardato il comandante. Il comandante ha detto: «Voi potete andare, io rimango». Dalla lancia abbiamo risposto e Magnanimi ha pure raccomandato al comandante di desistere. «Venga anche lei, comandante - si gridava - noi non partiremo senza di lei».
Magnanini diede ordine di non muoverci senza il comandante. Calamai insisteva di rimanere fino allo sbandamento completo, poi ci avrebbe raggiunti a nuoto, abbiamo risposto che sarebbe stato troppo tardi e tanto noi non ci saremmo mossi. Stette un po' senza risponderci, poi final mente si decise a scendere e prese posto sulla nostra lancia.
Ci siamo staccati che albeggiava. La sagoma dell'Andrea Doria, fino ad allora illuminata dalla luce di emergenza soltanto, tragica in quella posizione, cominciava a schiarirsi con la prima luce del giorno.
Il comandante prese il comando dell'imbarcazione aiutato da Magnanini e dal primo ufficiale. Dopo un'ora circa, portandoci ora più vicino ed ora più lontano dalla nostra Andrea Doria, una segnalazione a lampeggio ci pervenne dalla Ile de France. Ci chiamavano. L'ufficiale rispose ed il comandante chiese che cosa dicevano. Non comprendevano i nostri segnali: rispondevano 'Kappa'. Disse allora il comandante: 'Dica <You can go> (potete andare)' L'ufficiale trasmise. L'Ile de France sostò ancora per circa un'ora.
Gli ultimi secondi dell'Andrea DoriaNel cielo parecchi velivoli saettavano da una parte all'altra. Attorno, sul mare, si contavano sette od otto navi soccorritrici, comprese quelle della Marina Americana. I motoscafi militari ci venivano da presso chiedendo se ci occorreva nulla. Ci hanno dato medicinali e sigarette.
Il comandante volle un po' d'acqua che fu prelevata dalla nostra stessa riserva. Il sole d'un tratto ci illuminò spuntando fra le ciminiere dell'Ile de France. Noi eravamo a cento metri circa dalla nave francese e da altrettanti dall'Andrea Doria.
Prima un fischio, poi un secondo, poi un terzo: l'Ile de France partiva. In quello stesso istante un apparecchio bassissimo passava sull'Ile de France, su di noi e sul Doria.
La nostra nave era bellissima, baciata per l'ultima volta dal sole nascente. Placida, mentre riposava sul fianco, l'acqua lambiva la sua ferita, lentamente la copriva. L'Ile de France scomparve nel cielo all'orizzonte. Gli apparecchi proseguivano il loro lavoro di ripresa. Sul mare le navi attendevano ancora. La nostra ed altre due imbarcazioni ora si riunivano ed ora si staccavano. Una lancia vuota vagava abbandonata. Un motoscafo della Marina girava sempre attorno.
Erano le otto. Il comandante volle rimanere solo con la sua imbarcazione facendoci sostituire alla voga da marinai in più che erano nelle altre due lance. Ci siamo così avviati verso la William Thomas che ci prese a bordo.
Dall'oblò guardavo l'ultima scena. Ancora un nodo alla gola. Com'è difficile piangere quando se ne sente tanto il bisogno! Alle nove partivamo anche noi. L'Andrea Doria era allora immersa fino alla vetrata. Le altre navi prendevano pure loro il via. Il comandante rimaneva in mare fino alla fine.
Il disastro che colpiva il cuore della nostra Marina Mercantile era compiuto. Tutti abbiamo fatto il nostre dovere».
Nonostante questo, a 24 anni di distanza la polemica è ancora aperta.

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